Regime dell’Iva di gruppo anche per le società di persone
di Luigi FerrajoliCon la sentenza delle Sezioni Unite n. 1915/16 la Corte di Cassazione ha stabilito che il particolare regime previsto dall’art.73, co.3, d.P.R. n.633/72 relativo alla “Iva di gruppo”, secondo cui “le dichiarazioni delle società controllate sono presentate dall’ente o società controllante all’ufficio del proprio domicilio fiscale e i versamenti di cui agli artt. 27, 30 e 33 sono fatti all’ufficio stesso per l’ammontare complessivamente dovuto dall’ente o società controllante e dalle società controllate, al netto delle eccedenze detraibili”, trova applicazione anche nell’ipotesi in cui la società controllante sia una società di persone.
La questione rimessa alle Sezioni Unite riguarda l’estensione del regime dell’Iva di gruppo anche all’ipotesi in cui la società controllante non sia una società di capitali, in considerazione del fatto che, mentre la normativa primaria e quella secondaria di riferimento (art.73, co.3, d.P.R. n.633/72 e D.M. n.11065/79) usano la locuzione “ente o società controllante”, che non comporta la necessaria esclusione delle società di persone dall’ambito di applicazione della sua previsione, la circolare ministeriale n. 16/360711 del 28.02.1986, seguita da alcune risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate (risoluzioni n. 22/E/2005 e n. 347/E/2002), nega decisamente che tale regime possa trovare applicazione quando la società controllante sia una società di persone; ed, inoltre, indicazioni contraddittorie si rinvengono nelle istruzione per la liquidazione dell’Iva periodica e per la dichiarazione annuale.
Le Sezioni Unite ricostruiscono il regime dell’Iva di gruppo, chiarendo che si tratta di un particolare meccanismo di assolvimento dell’imposta, peraltro facoltativo, che comporta la perdita da parte delle società controllate della disponibilità dei rispettivi saldi Iva ed il trasferimento dei relativi crediti e debiti d’imposta alla società controllante, così da consentire a quest’ultima di compensare, con operazione algebrica, i saldi a credito o a debito risultanti dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali proprie e delle società partecipate e di rimanere, in tale modo, l’unico soggetto legittimato al versamento, ovvero ad effettuare la scelta annuale fra il rimborso o l’accredito nell’anno successivo dell’eccedenza detraibile di gruppo.
L’utilizzo di tale regime determina un vantaggio di natura eminentemente finanziaria, consistente nella possibilità di ottenere un sollecito rimborso dei crediti Iva vantati da una o alcune società del gruppo, mediante compensazione con l’eventuale Iva a debito di altra o altre società del gruppo medesimo. In tale modo, attraverso la liquidazione unitaria, è possibile evitare che all’interno del medesimo gruppo le società a debito debbano versare immediatamente l’imposta e quelle a credito debbano attendere i tempi, non celeri, del rimborso.
La Corte di Cassazione precisa che la questione deve essere risolta sulla base della normativa interna dal momento che la direttiva comunitaria disciplinante la materia non è direttamente applicabile nell’ordinamento interno, attribuendo agli Stati membri solo la facoltà di disciplinare la liquidazione unitaria dell’imposta nel caso di gruppo sociale. Al riguardo, la normativa primaria contenuta nell’art.73, co.3, d.P.R. n.633/72 delinea l’ambito soggettivo della disciplina mediante l’uso della locuzione ente o società controllante (riferibile certamente anche alle società di persone) e la normativa secondaria di attuazione, contenuta nel D.M. n.11065/79, mentre, con riferimento al soggetto controllante, ripropone la generica qualificazione di “ente o società controllante”, circoscrive il campo delle società controllate rilevanti ai fini del regime “Iva di gruppo” alle sole società di capitali; questo riferimento – secondo le circolari ministeriali sopra indicate – lascerebbe intendere che entrambi i soggetti (controllante e controllate) dovrebbero assumere la veste di società di capitali.
Le Sezioni Unite – chiarito in termini generali che la prassi ministeriale non ha alcun valore normativo, e che la norma di legge è gerarchicamente sovraordinata alla normativa regolamentare – rilevano che anche la normativa secondaria non contempla alcuna testuale esclusione delle società di persone dal novero dei soggetti controllanti che vengono qualificati con la generica locuzione “ente o società controllante”.
A tale dato testuale deve poi essere affiancata una considerazione di carattere sistematico, consistente nel fatto che la stessa disciplina secondaria contenuta nel D.M. n.11065/79, nel prevedere che le società controllate, ai fini del regime dell’Iva di gruppo, devono essere necessariamente società di capitali, si pone in contrasto con la normativa primaria di legge; contrasto che, secondo le regole generali sulla gerarchia delle fonti, non può che comportare la disapplicazione della normativa secondaria in contraddizione con la norma di legge gerarchicamente sovraordinata. Infatti, la norma primaria contenuta nell’art.73, co.3, d.P.R. n.633/72 si limita ad attribuire alla normativa secondaria il compito di stabilire le modalità di dichiarazione e versamento, ma non quello di alterare l’ambito di applicazione soggettiva del regime.