Regime di tassazione delle liberalità indirette e informali
di Angelo GinexLa Corte di Cassazione, con sentenza n. 7442/2024, ha fornito importanti chiarimenti sul regime di tassazione delle “liberalità diverse dalle donazioni formali”. La pronuncia indicata ha suscitato molto interesse tra gli operatori del diritto, poiché ha escluso la sussistenza di un “generalizzato” obbligo di tassazione di tutte le donazioni indirette, evidenziando altresì alcuni concetti fondamentali in ambito civilistico. Nel condurre l’analisi della pronuncia citata in un’ottica di più ampio respiro, saranno proprio questi ultimi, e in particolare i chiarimenti offerti dalle Sezioni Unite con sentenza n. 18725/2017, a porre le basi delle considerazioni conclusive.
Elementi di donazione formale e liberalità indirette
Gli atti gratuiti in senso stretto realizzano un’attribuzione patrimoniale (o anche di un diritto personale di godimento o di credito) a beneficio di una parte, senza sopportare il relativo sacrificio, in virtù di un interesse economico del disponente o dell’obbligato (che non abbia, evidentemente, fondamento in una controprestazione)[1]. A seconda dei casi, tali atti realizzano funzioni di godimento di beni (comodato) o di prestazione di servizi (mandato e deposito) attraverso obbligazioni di fare.
Invece, nel caso delle liberalità in genere manca in capo al disponente il suddetto interesse economico, dacché nella “donazione formale”, che è una liberalità tipica, il donante persegue un interesse non patrimoniale. Quest’ultima, infatti, realizza una “funzione di attribuzione stabile di diritti su beni”, che nessun contratto gratuito può avere.
Entrando più nello specifico, la donazione, ai sensi dell’articolo 769, cod. civ., è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra disponendo a favore di questa di un suo diritto ovvero assumendo verso la stessa un’obbligazione. Tale atto si caratterizza per tutta una serie di elementi: il carattere patrimoniale dell’arricchimento procurato al donatario; la predeterminazione del vantaggio del donatario nell’arricchimento; lo spirito di liberalità; la forma solenne; l’inammissibilità di un preliminare; la rilevanza dell’errore sui motivi; l’oggetto deve concernere soltanto beni presenti e di proprietà del donante; l’assoggettamento all’azione di riduzione; l’assoggettamento a collazione; l’assoggettamento a revocazione per ingratitudine e sopravvenienza di figli.
Ai sensi dell’articolo 793, cod. civ., inoltre, la donazione può anche essere modale, laddove il modo è un’obbligazione di dare, di fare o di non fare, a carico del donatario e a vantaggio del donante, di un terzo o di terzi, determinati dal donante o eventualmente da determinarsi (a opera del donatario o di un soggetto appositamente designato dalle parti), entro una categoria di soggetti prestabilita dal donante[2].
Ad adiuvandum, sebbene compatibile con un mancato arricchimento in senso economico, la donazione non può mai comportare un impoverimento in senso economico per il donatario, cioè il suo patrimonio all’esito della donazione non può essere minore di quanto era prima della donazione.
Lo spirito di liberalità consiste nella necessità che il donante, disponendo di un proprio diritto o assumendo un’obbligazione senza corrispettivo verso il donatario, persegua un proprio interesse non patrimoniale, oggettivamente percepibile anche se non necessariamente specificato, quale che esso sia[3]. Lo spirito di liberalità qualifica la causa del contratto, che è l’arricchimento del donatario in funzione di un interesse non patrimoniale del donante, che il donatario conosca e accetti.
Inoltre, esso significa spontaneità e, in particolare, mancanza di un obbligo giuridico o morale (purché giuridicamente rilevante) di disporre.
Ai sensi dell’articolo 782, cod. civ., la donazione richiede la “forma solenne”. Quindi è necessario procedere alla redazione dell’atto pubblico affinché trovi applicazione la disciplina prevista per la “donazione formale”. La prescrizione dell’atto pubblico risponde altresì alla necessità di consentire al donatario di comprendere la specificità della disciplina sulla donazione e di far ponderare il suo stesso consenso.
Inoltre, secondo quanto previsto dagli articoli 47 e 48, L. 89/1913 (c.d. Legge notarile), non è indispensabile la presenza di 2 testimoni, menzionati nell’atto.
Una deroga espressa è stabilita per la donazione di modico valore avente per oggetto beni mobili, che è considerata valida anche se manca l’atto pubblico, purché vi sia stata la tradizione. La modicità deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante (articolo 783, cod. civ.).
È donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione. Invece non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi (articolo 770, cod. civ.).
Le liberalità d’uso non sono considerate donazioni, per cui è escluso che a esse trovi applicazione la disciplina sulle donazioni.
Ciò detto, occorre rilevare che lo scopo liberale di arricchire un’altra persona può essere realizzato non solo mediante il formale atto di donazione, ma anche attraverso un “negozio indiretto avente causa propria e fine liberale”. Ciò significa che il negozio indiretto realizza, per spirito di liberalità (c.d. animus donandi), l’effetto tipico della donazione mediante l’impiego di uno strumento giuridico diverso. Esso, quindi, è pur sempre una liberalità, in quanto arricchisce chi la riceve e diminuisce il patrimonio di chi la effettua.
In conseguenza di ciò, a esso si applicano le regole proprie della donazione, così come previsto dall’articolo 809, cod. civ.. Tale disposizione stabilisce che le liberalità, anche se risultanti da un atto diverso da quello pubblico, sono soggette alle norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e sopravvenienza di figli; la riduzione delle donazioni per integrare la quota di legittima[4].
Per quanto concerne la forma, va precisato che è sufficiente l’osservanza della forma prescritta per il negozio tipico utilizzato al fine di raggiungere lo scopo di liberalità. Al riguardo, è stato affermato che[5]: “Per la validità delle donazioni indirette non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’articolo 809 cod. civ., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’articolo 769 cod. civ., non richiama l’articolo 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico per la donazione”.
A ciò si aggiunga che le Sezioni Unite, con sentenza n. 18725/2017, hanno individuato 5 ipotesi di “donazioni indirette”, purché vi sia spirito di liberalità:
- il contratto a favore di terzo in cui la prestazione a favore del terzo proviene dal patrimonio del promittente (senza che sia stato previamente prestato al promittente dallo stipulante), lo stipulante non consegue alcun vantaggio economico e il terzo non paga alcun corrispettivo (articolo 1411, cod. civ.);
- l’adempimento di un’obbligazione altrui (articolo 1180 cod. civ.);
- la donazione indiretta in senso stretto;
- il contratto oneroso con corrispettivo notevolmente inferiore al valore reale del bene trasferito, a beneficio dell’acquirente, o per un prezzo eccessivamente alto, a beneficio dell’alienante (c.d. mixtum cum donatione);
- la rinuncia abdicativa a un diritto reale minore o a una quota di comproprietà.
Il negozio indiretto va altresì tenuto distinto dal negozio simulato, in quanto, nel primo caso, lo scopo perseguito dalle parti presuppone quello del negozio adottato, mentre, nel secondo caso, la volontà reale delle parti non trova manifestazione nel negozio giuridico effettivamente posto in essere.
Sotto il profilo civilistico, con la citata pronuncia, le Sezioni Unite hanno altresì affermato che il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una “donazione tipica ad esecuzione indiretta”.
Conseguentemente la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.
Connotazione fiscale della donazione “informale”
Con la recentissima sentenza n. 7442/2024, la sezione tributaria della Corte di Cassazione, pur tenendo conto della qualificazione civilistica propugnata dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 18725/2017, ha dovuto chiarire se la liberalità avente a oggetto strumenti finanziari non possa costituire il presupposto di un’obbligazione tributaria in quanto affetta da nullità, oppure se lo sia perché valida anche in difetto di stipulazione in forma pubblica.
Sotto il profilo normativo, si è rilevato che nel caso delle liberalità effettuate in epoca successiva alla reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni, deve ritenersi applicabile la disciplina prevista dal D.Lgs. 346/1990, tornata in vita per effetto dell’articolo 2, comma 47, D.L. 262/1990. In particolare, l’articolo 56-bis, D.Lgs. 346/1990 contempla la disciplina delle “liberalità diverse dalle donazioni”, nozione che ricomprenderebbe anche le liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, come, ad esempio, i meri comportamenti materiali, oppure quelli che risultano da documenti scritti per i quali non è imposta la formalità della registrazione.
Pertanto, nel caso della donazione “informale”, l’inosservanza della forma pubblica richiesta dall’articolo 782, cod. civ. e la relativa sanzione della nullità, se rilevano sul piano civilistico, a tutela del donante, nessuna conseguenza producono invece sul piano tributario, in ragione del principio generale affermato dall’articolo 53, Costituzione[6].
In aderenza a quanto poc’anzi evidenziato, è stato osservato come la più recente giurisprudenza di legittimità[7] abbia ravvisato nella legislazione tributaria una triplice suddivisione delle donazioni, articolata nelle seguenti categorie:
- “donazioni dirette” o “formali”, che nascono dalla stipulazione in forma pubblica (con l’assistenza obbligatoria dei testimoni) di un contratto tra donante e donatario ex articolo 769, cod. civ.;
- “donazioni indirette” (anche se formali), che derivano dalla confezione di un atto giuridico (in senso stretto) o da un negozio unilaterale o da un contratto (diverso, quindi, dalla donazione prevista dall’articolo 769, cod. civ.) con la produzione di effetti analoghi alla donazione diretta (nell’accezione prevista dall’articolo 809, cod. civ.), ovvero l’attuazione della volontà del donante (condivisa dal donatario) di provocare, per “spirito di liberalità”, un incremento del patrimonio del soggetto beneficiario con il correlativo depauperamento del patrimonio del soggetto dante causa;
- “donazioni informali”, che consistono nello svolgimento di un’attività materiale[8] o nella tenuta di un comportamento consapevolmente omissivo[9] con la conseguenza, anche in questo caso, della diminuzione del patrimonio del soggetto dante causa e l’aumento del patrimonio del soggetto beneficiario.
Configurabilità o meno di un “generalizzato” obbligo di tassazione per le “donazioni indirette” risultanti da “da atti soggetti alla registrazione”
È stato osservato che il D.Lgs. 346/1990 parla “confusamente” di tutta una serie di liberalità[10] rispetto alle quali è bene chiarire se trovi applicazione o meno un obbligo di tassazione per le liberalità in genere oppure no.
La Suprema Corte, dopo aver rilevato che, secondo l’Agenzia delle entrate, circolare n. 30/E/2015, § 1.2[11], l’imposta sulle successioni e donazioni si applica alle “liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione” (articolo 1, comma 4-bis, D.Lgs. 346/1990), nonché alle altre “liberalità tra vivi” che si caratterizzano per l’assenza di un atto scritto (soggetto a registrazione), ha precisato di non condividere tale assunto in quanto le donazioni informali (non stipulate “per iscritto”, né enunciate in un “atto scritto”) non sarebbero un possibile oggetto di tassazione.
Detto in altri termini, la Corte di Cassazione ha affermato che, quando “non” si sia in presenza di “atti soggetti alla registrazione”, non si avrebbe una fattispecie rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni, a meno che, ai sensi dell’articolo 56-bis, D.Lgs. 346/1990: si faccia luogo alla registrazione “volontaria” della donazione indiretta non risultante “da atti soggetti alla registrazione”; oppure, la donazione indiretta non “da atti soggetti alla registrazione” sia “confessata” dal contribuente nell’ambito di una procedura di accertamento tributario.
Chiarito quindi il confine tra la donazione indiretta risultante (anche per via di enunciazione) “da atti soggetti alla registrazione” (e, in particolare, da un atto formato per iscritto nel territorio dello Stato) e la donazione indiretta “non” risultante da “atti soggetti alla registrazione”, la Suprema Corte ha dovuto approfondire il punto se: “per la donazione indiretta risultante “da atti soggetti alla registrazione” (fatta eccezione per la già accennata fattispecie di esonero da tassazione di cui all’articolo 1, comma 4-bis, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346) sia configurabile, o meno, un obbligo di registrazione”.
Ebbene, i giudici di vertice sono giunti alla conclusione che non per qualsiasi liberalità (diversa dalla donazione formale) che sia “risultante” (anche per effetto di enunciazione, ai sensi dell’articolo 22, D.P.R. 131/1986) “da atti soggetti alla registrazione” vi sia l’obbligo di registrazione e di tassazione con l’imposta sulle donazioni.
Nello specifico, è stato evidenziato che quando l’articolo 56-bis, D.Lgs. 346/1990, rubricato “Accertamento delle liberalità indirette”, disciplina la tassazione delle liberalità diverse dalla donazione formale, enuncia 2 principi (che si rendono applicabili, per quanto sopra osservato, alle sole liberalità indirette “risultanti da atti soggetti alla registrazione”):
a) la “facoltà” del contribuente di registrare “volontariamente” le liberalità indirette (articolo 56-bis, comma 3, D.Lgs. 346/1990);
b) il “potere” dell’Amministrazione finanziaria di accertare le liberalità indirette (solo) al congiunto ricorrere dei seguenti 2 presupposti (articolo 56-bis, comma 1, D.Lgs. 346/1990): “quando l’esistenza” della liberalità indiretta “risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi”; ovvero, “quando le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all’importo di 350 milioni di lire”.
Ne consegue che, se il “potere” dell’Amministrazione finanziaria di accertare “donazioni indirette” si ha solo (sempre che la normativa in materia non sia da ritenere abrogata) al ricorrere dei predetti 2 presupposti, “non” può ritenersi sussistente un generalizzato obbligo di sottoporre a tassazione tutte le donazioni indirette risultanti (anche per via di enunciazione) “da atti soggetti alla registrazione”[12].
Rilevano solo le seguenti ipotesi di tassazione delle donazioni indirette, se “risultanti”, beninteso, “da atti soggetti alla registrazione” (fermo restando l’esonero da tassazione per le donazioni indirette rientranti nel perimetro di quelle identificate nell’articolo 1, comma 4-bis, D.Lgs. 346/1990):
a) la tassazione delle donazioni indirette quando per esse sia esplicata la “facoltà” di registrazione volontaria, cui evidentemente può ricorrere il contribuente che abbia il timore di subire l’accertamento previsto nell’articolo 56-bis, comma 2, D.Lgs. 346/1990;
b) la tassazione delle donazioni indirette (non rientranti nel perimetro di esenzione di cui all’articolo 1, comma 4-bis, D.Lgs. 346/1990) la cui “esistenza” “risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi” (evidentemente diversi dall’imposta di donazione).
Sulla scorta di quanto sopra, si è conclusivamente affermato che:
- quanto alle donazioni informali (e alle donazioni indirette “non” risultanti – anche in via di enunciazione – “da atti soggetti alla registrazione”), non ricorre il presupposto per la loro sottoposizione a tassazione;
- quanto alle donazioni indirette “risultanti” (anche in via di enunciazione) “da atti soggetti alla registrazione” (diverse da quelle per cui vi è l’esonero da tassazione sancito dall’articolo 1, comma 4-bis, D.Lgs. 346/1990), i contribuenti non sono obbligati a sottoporle a tassazione[13]; tuttavia, è possibile tassare le donazioni indirette nell’ipotesi in cui donante e donatario si trovino a doversi riferire a uno spostamento patrimoniale a titolo gratuito, non assoggettato a tassazione, nel contesto di un procedimento finalizzato all’accertamento di altri tributi la cui maggiore entità, rispetto all’imposta sulle donazioni, “solleciti” il contribuente sotto accertamento di “confessare” la donazione, scontando il relativo carico fiscale, piuttosto che subire il maggior esborso che deriverebbe dalla mancata “confessione” della donazione.
Tassazione delle “liberalità diverse dalle donazioni”, “confessate” in sede di accertamento, solo se di valore superiore alle franchigie esistenti
Come noto, l’articolo 56-bis, comma 1, D.Lgs. 346/1990, contempla la possibilità che l’Amministrazione finanziaria accerti l’esistenza di “liberalità diverse dalle donazioni”, quando l’attribuzione patrimoniale gratuita emerga nel corso di un’attività di controllo delle imposte sui redditi, a condizione che la natura liberale dell’attribuzione risulti da esplicite dichiarazioni rese dal contribuente, e sia superata una determinata soglia di rilevanza fiscale.
Relativamente al prospettato contrasto tra vecchie e nuove norme, in particolare se questo comportasse necessariamente l’implicita abrogazione delle prime, ritenendo che siffatta opzione interpretativa creerebbe un vulnus nel complessivo quadro normativo di riferimento delineato dal D.L. 262/1990, la Suprema Corte, nella pronuncia in rassegna, ha concluso che anche a seguito delle modifiche apportate al complessivo impianto normativo delle imposte sulle successioni e donazioni, il citato articolo 56-bis, D.Lgs. 346/1990, non può ritenersi affatto implicitamente abrogato, in quanto disposizione che ha una propria ragion d’essere, oltre che autonomia funzionale, rispetto a quanto previsto e, per il resto, disciplinato dal D.Lgs. 346/1990.
Dunque, procedendo a una operazione interpretativa diversa da quella puramente letterale, e ciò al fine di armonizzare l’articolo 56-bis, D.Lgs. 346/1990, con le disposizioni che disciplinano la reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni, deve ritenersi che anche le “liberalità diverse dalla donazione” sono accertate e sottoposte a imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, essendo irrilevante a tali fini la formale stipulazione di un atto e viceversa rilevante il fatto economico provocato dal trasferimento da un patrimonio a un altro[14].
In conclusione, quindi, la Corte di Cassazione ha ribadito il seguente principio di diritto: “In tema di imposta sulle donazioni, l’articolo 56-bis, comma 1, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall’articolo 769 cod. civ., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte ad imposta (con l’aliquota dell’8%) – pur essendo esenti dall’obbligo della registrazione – in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti (Euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, Euro 100.000 per fratelli e sorelle, Euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap)”.
Osservazioni
La pronuncia in rassegna, come anticipato, non fa altro che ribadire arresti giurisprudenziali già intervenuti. Essa, infatti, afferma che il fenomeno delle “liberalità atipiche” è rilevante fiscalmente anche nell’ambito della “nuova” imposta sulle donazioni, in quanto esso rientra nell’ampia nozione di “trasferimenti gratuiti” che il Legislatore del 2006 ha utilizzato per individuare il presupposto impositivo del tributo. E quindi, anche le “liberalità diverse dalla donazione”, cioè le liberalità atipiche risultanti da atti diversi dal contratto tipico di donazione, ma in grado di attuare effetti economici equivalenti a quelli prodotti da detto contratto, non saranno sottoposte a imposta sulle donazioni, in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, solo se di valore inferiore alle franchigie oggi esistenti.
Ciò detto, come anticipato in premessa, non bisogna però dimenticare i profili civilistici di simili operazioni, alla stregua di quanto sancito dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 18725/2017.
Tale pronuncia risulta molto importante poiché opera una netta distinzione tra donazione nulla per mancanza di forma e donazione valida perché indiretta. Più nel dettaglio, essa sancisce la nullità della “donazione informale” effettuata mediante bonifico bancario, con la conseguenza che, mancando la definitività dell’attribuzione, il donante (o i suoi eredi) possono esercitare (nel termine prescrizionale) l’azione di ripetizione della dazione indebita (a prescindere dalla lesione della legittima).
Ciò significa che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone necessariamente la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.
In definitiva, quindi, ferme restando le diverse soglie di esenzione oggi esistenti, quel che è certo è che occorre valutare di volta in volta la situazione del singolo cliente e decidere se rendere stabile dal punto di vista civilistico l’operazione che non lo è, conferendo forma tipica all’atto (ad esempio, mediante disposizioni testamentarie che facciano riferimento alle erogazioni già effettuate).
Altrimenti detto, pur apprezzando le importanti conferme sull’esenzione fiscale di liberalità indirette e informali, non vanno assolutamente dimenticati i profili civilistici di simili operazioni, i quali, anzi, devono essere tenuti in debito conto ogni qualvolta si voglia elaborare un progetto di pianificazione patrimoniale, o comunque “fare manutenzione” su uno già esistente.
[1] È il caso, ad esempio, delle attribuzioni senza corrispettivo fatte a beneficio della clientela, come omaggi, premi, etc..
[2] A mero titolo esemplificativo, il modo può consistere nell’onere di trasferire al donante la proprietà di un bene del donatario, nell’onere di rimettergli un debito verso il donatario, nell’onere di prestargli assistenza morale e materiale sino a quando sarà in vita, etc..
[3] Ad esempio, benevolenza, carità, amore, amicizia, gratitudine, riconoscimento di meriti, etc.; tale interesse deve essere oggetto di rappresentazione e volizione a opera di entrambe le parti.
[4] Ciò significa che, nella ipotesi in cui si abbia una lesione della quota di legittima derivante da una o più liberalità indirette, trova applicazione la medesima disciplina prevista per le donazioni, per cui anch’esse sono soggette all’azione di riduzione ex articolo 564, comma 2, cod. civ. e alla collazione di cui all’articolo 737, cod. civ..
[5] Cassazione n. 5333/2004.
[6] Ex multis, Cassazione n. 634/2012, n. 15144/2017, n. 27665/2020 e n. 28047/2020.
[7] Ex multis, Cassazione n. 6077/2023 e n. 9780/2023.
[8] Ad esempio, il trasferimento di denaro o di strumenti finanziari che si attui o brevi manu – e, cioè, consegnando fisicamente il denaro contante al donatario – o impartendo un ordine di bonifico bancario o cointestando un conto corrente bancario o un “dossier titoli” o un qualsiasi altro rapporto bancario; oppure, la consegna di un assegno circolare intestato al donatario affinché questi lo incassi sul proprio conto corrente bancario; ancora, la consegna di un titolo al portatore; ancora, l’incremento del fondo altrui con costruzioni o piantagioni; etc..
[9] Si pensi a quello di lasciare decorrere un termine di prescrizione o di usucapione; oppure, quello di lasciare operare il meccanismo previsto dall’articolo 177, comma 1, lettera a), cod. civ., e, cioè, stipulare un contratto di acquisto da parte di uno solo dei coniugi in comunione legale dei beni con impiego di suo denaro personale, provocando la sottoposizione del bene acquistato al regime di comunione legale.
[10] Si parla variamente di “altra liberalità tra vivi” (articolo 1, comma 1), di “liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione” (articolo 1, comma 4-bis), di “donazioni (…) indirette” (articolo 55, comma 1-bis), di “liberalità diverse dalle donazioni” (articolo 56-bis, comma 1) e di “atti di liberalità tra vivi diversi dalla donazione” (articolo 58, comma 5).
[11] Nello stesso senso, cfr. circolare n. 3/E/2008, § 2.
[12] Cassazione n. 11831/2022.
[13] Infatti, la Legge non dispone una sanzione per la loro mancata registrazione, ma “solo” un’elevata aliquota d’imposta, sempreché la normativa che la prevede sia vigente.
[14] Ex multis, Cassazione n. 27665/2020, n. 28047/2020, n. 735/2022, n. 5802/2023, n. 6077/2023 e n. 9780/2023.