6 Ottobre 2017

Regime IVA dell’attività di produzione di stampi da inviare all’estero

di Marco Peirolo
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In passato ci siamo occupati più volte del trattamento IVA delle operazioni di compravendita di stampi in ambito intraunionale ed internazionale.

Un caso che necessita di un inquadramento specifico è quello dell’impresa nazionale che provvede esclusivamente alla fabbricazione degli stampi, con successivo invio al cliente di altro Stato UE o extra-UE ai fini del loro utilizzo in loco.

Normalmente, l’impresa che svolge questa attività è caratterizzata dal codice ATECO “25.73.20” (Fabbricazione di stampi, portastampi, sagome, forme per macchine).

Concretamente, lo stampo viene studiato su un primo progetto realizzato dal cliente, ma è il fornitore nazionale che perfeziona/realizza il progetto definitivo provvedendo poi alla fabbricazione e alla consegna dello stampo.

Il dubbio da risolvere è se sia coretto che, al momento della spedizione dello stampo al cliente non residente, venga emesso il documento di trasporto con causale “vendita” e, successivamente, la fattura in regime di non imponibilità IVA di cui all’articolo 41 del D.L. 331/1993 o all’articolo 8, comma 1, lett. a) o b), del D.P.R. 633/1972, previsto rispettivamente per le cessioni intraunionali e le cessioni all’esportazione di beni.

Il dubbio si pone in quanto la circolare 43/E/2010 (§ 9) ha precisato che, se non ricorrono le condizioni ritenute indispensabili per assoggettare il contributo pagato per realizzare lo stampo allo stesso regime IVA delle cessioni dei beni prodotti con esso, lo sviluppo dello stampo assume un’autonoma configurazione giuridica che, ai fini IVA, dà luogo ad una prestazione di servizi “generica”, esclusa da imposta ai sensi dell’articolo 7-ter del D.P.R. 633/1972.

Secondo la prassi amministrativa, la non imponibilità è riconosciuta quando l’impresa italiana, in base ad un unico contratto d’appalto, si impegna nei confronti del cliente estero a realizzare non solo lo stampo, ma anche i prodotti, con previsione di prezzi distinti. In questa ipotesi, lo stampo, una volta sviluppato, diventa di proprietà del cliente non residente, ma resta in “prestito d’uso” presso il soggetto nazionale in modo da essere utilizzato per la fabbricazione dei prodotti.

Più nello specifico, nella situazione esposta, già con la C.M. 13-VII-15-464/1993 (§ B.2.3) e con la R.M. 421221/1980, era stato chiarito che, affinché allo stampo si applichi lo stesso trattamento dei beni con esso prodotti, è necessario che:

  • tra il committente non residente e l’operatore nazionale venga stipulato un unico contratto d’appalto avente ad oggetto sia la realizzazione dello stampo sia la fornitura dei beni che con esso si producono,
  • lo stampo, a fine lavorazione, venga inviato nello Stato UE o extra-UE del cliente, a meno che, in conseguenza dell’ordinario processo di produzione o per accordi contrattuali, sia distrutto o sia divenuto ormai inservibile.

In un primo tempo, l’Amministrazione finanziaria aveva chiarito che la fornitura di stampi concretizza un contratto d’appalto, rientrante nella previsione dell’articolo 3 del D.P.R. 633/1972, da assoggettare a IVA indipendentemente dalla successiva esportazione dei beni con esso prodotti (R.M. 362750/1979).

Successivamente, la suddetta posizione è stata rivisitata nella considerazione che l’approntamento dello stampo non può assumere un’autonoma rilevanza dato che esso rappresenta la fase iniziale, propedeutica all’intero ciclo produttivo dei beni da esportare. È stato, infatti, osservato che il cliente estero, in base ad un unico impegno contrattuale, dà incarico all’impresa nazionale, prestatrice del servizio, di realizzare lo stampo secondo determinate caratteristiche e di produrre a mezzo dello stesso i relativi beni secondo un programma di lavorazione che, di volta in volta, viene precisato dal committente medesimo (R.M. 421221/1980, cit. e R.M. 412178/1980).

A ben vedere, la circolare 43/E/2010, nel qualificare come prestazione di servizi “generica” lo sviluppo dello stampo che non soddisfi le condizioni che precedono, ha inteso fare riferimento all’ipotesi in cui l’impresa nazionale realizza lo stampo che resta di sua proprietà e che viene utilizzato per fabbricare i prodotti da inviare all’estero.

In questa situazione, l’Agenzia delle Entrate ha superato il trattamento impositivo esplicitato in passato dalla R.M. 186/E/1996, che qualificava il contributo in conto stampi – di importo normalmente pari al costo per i medesimi sostenuto dall’impresa italiana – come un anticipo contrattuale, da fatturare al cliente non residente in regime di non imponibilità includendolo nella base imponibile dei beni spediti all’estero. Per l’Agenzia, infatti, l’operazione rientra tra le prestazioni di servizi.

Il caso proposto in apertura si riferisce, invece, ad una diversa ipotesi, che è quella dello stampo realizzato dall’impresa nazionale per essere successivamente spedito nello Stato UE o extra-UE del cliente ed ivi utilizzato per produrre i beni.

Non pare, pertanto, possibile ritenere che la cessione dello stampo possa qualificarsi come non soggetta a IVA ai sensi del citato articolo 7-ter del D.P.R. 633/1972, dovendo essere classificata come una cessione intraunionale o all’esportazione, non imponibile, come peraltro è confermato – per restare alle interpretazioni domestiche – dalle indicazioni di prassi secondo cui le cessioni di beni in ambito intra-UE o extra-UE, anche se effettuate in dipendenza di un contratto d’appalto, mantengono la qualifica di cessione (C.M. n. 13-VII-15-464/1994, cit. e C.M. n. 26/411138/1979).

La disciplina Iva delle operazioni intracomunitarie