27 Dicembre 2017

Regime IVA delle esportazioni in conto lavorazione

di Marco Peirolo
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Con l’ordinanza n. 28709 del 30 novembre 2017, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio che nella sfera di applicabilità dell’articolo 8, comma 1, del D.P.R. 633/1972 non rientrano le esportazioni effettuate in conto lavorazione (neppure se effettuate attraverso la procedura dell’esportazione temporanea – cd. “perfezionamento passivo”, stante l’assoggettamento ad IVA della “reimportazione a scarico di esportazione temporanea”, come previsto dall’articolo 67, comma 2, del D.P.R. 633/1972), in quanto normalmente effettuate senza trasferimento alla società estera della titolarità, di fatto e giuridica, dei beni ceduti per la lavorazione. A questa conclusione fa eccezione il caso in cui l’operatore nazionale, sul quale grava il relativo onere probatorio (essendo inapplicabile all’esportazione la presunzione di cessione di cui all’articolo 1 del D.P.R. 441/1997, riferita ai soli “beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti”), dimostri il definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero dietro pagamento di corrispettivo.

Il principio espresso dalla Suprema Corte trova conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza, secondo cui la configurabilità di una cessione all’esportazione, non imponibile ai fini IVA ai sensi del citato articolo 8, comma 1, del D.P.R. 633/1972, richiede la coesistenza di un duplice requisito, vale a dire il trasporto/spedizione dei beni fuori del territorio dell’Unione europea, comprovato da apposita documentazione doganale, e la cessione del bene, che ai sensi dell’articolo 2 del medesimo D.P.R. 633/1972 si realizza mediante un atto a titolo oneroso che importi il trasferimento della proprietà, ovvero la costituzione o il trasferimento di altro diritto reale sul bene stesso (Cassazione n. 5168/2016).

Ne discende, secondo i giudici di legittimità, che la cessione all’esportazione implica “la necessaria ricorrenza di un vincolo finalistico tra trasferimento della proprietà e esportazione, ma non anche quella di un’obbligata successione temporale tra i due termini dell’operazione. Sul piano sistematico, poi, l’osservanza del richiamato principio della tassazione dei beni nel luogo di consumazione richiede solo il carattere definitivo dell’operazione, sicché ciò che risulta essenziale, e che la norma persegue al fine di evitare iniziative fraudolente, è la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero” (Cassazione n. 23588/2012).

A sua volta, la previsione nazionale di non imponibilità trova fondamento, a livello unionale, nelle disposizioni della Direttiva n. 2006/112/CE che impongono agli Stati membri di esentare dall’IVA le cessioni di beni spediti o trasportati dal venditore o per suo conto fuori del territorio dell’Unione europea. L’obiettivo dell’esenzione risiede nella volontà di non assoggettare ad IVA i consumatori degli Stati terzi, essendo l’imposta destinata a gravare esclusivamente sui consumatori della UE (Corte di giustizia, causa C-111/92, Lange).

In linea con la conclusione della Cassazione, secondo cui l’invio di beni al di fuori della UE in conto lavoro non dà luogo ad una cessione all’esportazione ai fini dell’IVA, può richiamarsi anche la posizione dell’Amministrazione finanziaria.

È stato, infatti, precisato che si resta al di fuori della non imponibilità se l’invio dei beni all’estero avviene con la procedura dell’esportazione temporanea o definitiva, ma non in esecuzione di un contratto di vendita, con l’ulteriore conseguenza che, in assenza di un corrispettivo, l’operazione non può essere inclusa tra quelle che concorrono alla formazione del plafond per l’acquisto di beni e servizi senza applicazione dell’IVA (circolare 8/D/2003, § 7.1; C.M. 156/E/1999; nota Dipartimento delle Dogane n. 1248/1997).

Un’ulteriore problematica, non esaminata dall’ordinanza in commento, è quella riguardante il regime impositivo applicabile all’eventuale cessione dei beni già inviati al di fuori della UE in conto lavoro.

Dai documenti di prassi in precedenza richiamati si desume che la cessione non beneficia del regime di non imponibilità per carenza del presupposto della territorialità di cui all’articolo 7-bis, comma 1, del D.P.R. 633/1972, siccome l’operazione ha per oggetto beni che non si trovano materialmente in Italia al momento dell’operazione.

In pratica, la fattura di vendita deve essere emessa con la dicitura “operazione non soggetta”, anziché con la dicitura “operazione non imponibile”, con la sua conseguente irrilevanza ai fini della formazione del plafond.

Questa conclusione può essere messa in discussione dalle indicazioni della giurisprudenza, laddove ricorra quel vincolo finalistico tra il trasferimento della proprietà e l’esportazione che richiede, ai fini del riconoscimento della non imponibilità, che l’operazione, fin dalla sua origine e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione dei beni all’estero. Tale potrebbe essere il caso in cui l’invio dei beni in conto lavoro sia preordinato alla cessione dei beni stessi in territorio estero.

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