16 Settembre 2017

Il regime sanzionatorio relativo agli acquisti intracomunitari

di EVOLUTION
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La revisione del sistema sanzionatorio attuata dal D.Lgs. 158/2015 ha esplicato i propri effetti anche verso le violazioni in materia di scambi intracomunitari, atteso che le stesse sono regolate all’interno del D.Lgs. 471/1997.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Sanzioni”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo si occupa nello specifico del regime sanzionatorio delle violazioni in materia di acquisiti intracomunitari commesse da parte di operatori passivi d’imposta.

L’operatore economico italiano, una volta ricevuta la fattura emessa dalla controparte comunitaria, è tenuto a integrare detta fattura (e non ad emettere un’autofattura ex novo), cioè a scrivere su di essa l’imposta dovuta (o il titolo di non applicazione), e ad annotare il documento nel registro delle fatture emesse.

Fino al 31/12/2015 le violazioni in materia di mancata applicazione del reverse charge, sia per quanto attiene la mancata o irregolare integrazione della fattura sia con riferimento alla mancata o irregolare annotazione della stessa nei registri, venivano punite ai sensi dell’articolo 6, comma 1, del D.Lgs. 471/1997, con una sanzione compresa tra il 100% e il 200% dell’imposta non correttamente assolta, con un minimo di 516 euro.

A decorrere dall’1/01/2016, per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. 158/2015 all’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997, che ora richiama espressamente al comma 9-bis anche gli adempimenti di cui agli articoli 46 e 47 del D.L. 331/1993, le violazioni in commento sono soggette alla sanzione amministrativa compresa tra 500 e 20.000 euro.

In questa sede si desidera rimarcare come l’ultimo periodo del comma 9-bis disciplina, in termini generali, il caso in cui il cedente o prestatore abbia omesso di rilasciare fattura soggetta a R.C., ovvero ne abbia emessa una irregolare, prevedendo una particolare procedura di regolarizzazione a carico del cessionario/committente.

In dettaglio, entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione qualora il cedente non abbia emesso fattura, oppure in caso di ricevimento di fattura irregolare, il cessionario/committente deve informare il proprio Ufficio competente entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo ad emettere la relativa fattura ai sensi dell’articolo 21 del D.P.R. 633/1972 e ad assolvere, entro il medesimo termine, l’imposta mediante inversione contabile.

Come evidenziato al paragrafo precedente, invece, l’articolo 46 D.L. 331/1993 prevede un termine più breve (due, anziché quattro mesi) entro il quale occorre procedere alla regolarizzazione della fattura non ricevuta.

Ciò pone il problema di stabilire se, alla luce della nuova normativa, anche con riguardo agli acquisti intracomunitari possa o meno trovare applicazione il maggior termine utile per la regolarizzazione previsto dal comma 9-bis.

La questione è stata puntualmente risolta dalla circolare AdE 16/E/2017, dove, al paragrafo 2, viene precisato che “la procedura di regolarizzazione di cui al comma 9-bis, ultimo periodo, non sostituisce la procedura prevista, in modo specifico, per le operazioni intracomunitarie, con appositi termini e modalità di regolarizzazione, dall’art. 46, comma 5, del decreto legge n. 331 del 1993.”.

Sempre in tema di mancata effettuazione del R.C., va evidenziata la particolare fattispecie prevista dal comma 7 dell’articolo 6 in commento, secondo cui “in caso di acquisto intracomunitario, la sanzione si applica anche se, in mancanza della comunicazione di cui all’articolo 50, comma 3, D.L. 331/1993 … l’operazione è stata assoggettata ad imposta in altro Stato membro.”.

La norma, scritta in maniera decisamente infelice, dal momento che non si premura nemmeno di precisare quale sia la sanzione a cui si sta riferendo, deve essere letta alla luce dell’interpretazione proposta dalla C.M. 23/1999 (cfr. capitolo II, paragrafo 2.2).

Il documento di prassi chiarisce al riguardo che la sanzione cui si rinvia è quella del comma 1 (e non del precedente comma 6, come, a rigore, parrebbe più logico), quindi quella che va dal 90% al 180%.

Tale sanzione torna quindi ancora applicabile se l’acquirente italiano non ha comunicato ai sensi dell’articolo 50, comma 3, D.L. 331/1993, il proprio numero di partita IVA alla controparte comunitaria, inducendo quest’ultima ad assoggettare ad imposta l’operazione nel proprio Stato membro (perché ritenuta effettuata nei confronti di un privato), anziché rendere la vendita non imponibile.

Non è chiaro se il mantenimento di tale disposizione a seguito della revisione attuata dal D.Lgs. 158/2015 rappresenti una precisa scelta del legislatore delegato oppure sia frutto di una dimenticanza. Sta di fatto che, se fino al 31/12/2015 la sanzione risultava allineata alla misura generale fissata al primo comma dell’articolo 6, a seguito delle modifiche apportate al regime sanzionatorio per le violazioni in materia di R.C. appare un po’ fuori contesto, poiché continua a punire in misura proporzionale una violazione che, in tutte le altre situazioni, viene sanzionata in misura fissa.

Si ritiene, peraltro, che alla violazione in esame possa tornare applicabile l’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 6, ovviamente ricorrendone i presupposti (nel senso che l’IVA deve essere integralmente detraibile per il committente/ cessionario), a mente del quale “la sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo.”. Ciò in quanto, evidentemente, per un soggetto che non soffre di limitazioni del diritto a detrarre l’imposta, la mancata registrazione di una fattura soggetta ad inversione contabile non può in alcun modo incidere nella liquidazione del tributo.

Sul punto sarebbe, peraltro, auspicabile un chiarimento ufficiale dell’Amministrazione finanziaria.

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

Iva nazionale ed estera