Requisito dell’indipendenza dell’attività al vaglio della Corte UE
di Marco PeiroloIl membro del consiglio di vigilanza di una fondazione, se non agisce sotto la propria responsabilità e non sopporta neppure il rischio economico della propria attività, risulta privo di soggettività passiva Iva per carenza del requisito dell’indipendenza, richiesto dagli articoli 9 e 10 Direttiva 2006/112/CE.
È la conclusione raggiunta dalla Corte di giustizia UE nella causa C-420/18 del 13 giugno 2019, volta a stabilire se sia configurabile l’esercizio di un’attività economica in modo indipendente da parte del membro del consiglio di vigilanza, con conseguente insorgenza, nei sui confronti, della soggettività passiva dell’Iva.
La nozione di soggetto passivo, così come definita dalla normativa unionale, è molto ampia.
Come previsto, infatti, dall’articolo 9, par. 1, comma 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, per soggetto passivo s’intende “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”.
Al fine, quindi, di stabilire se il predetto membro del consiglio di vigilanza si qualifichi come soggetto passivo è necessario verificare, in primo luogo, se svolge un’attività economica e, in secondo luogo, se tale attività sia svolta in modo indipendente.
Riguardo al primo aspetto, relativo all’economicità dell’attività, l’articolo 9, par. 1, comma 2, Direttiva 2006/112/CE chiarisce che “si considera «attività economica» ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate” e che “si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità”.
In questo contesto, lo “sfruttamento” si riferisce, in conformità al principio che il sistema comune dell’Iva deve essere neutrale, a tutte quelle operazioni, qualunque sia la loro forma legale, dirette ad ottenere un reddito su base continuativa (causa C-8/03, BBL; causa C-77/01, EDM; causa C-306/94, Régie dauphinoise; causa C-186/89, Van Tiem).
Secondo il consolidato orientamento della Corte di giustizia, la nozione di “attività economica” è molto ampia e ha carattere oggettivo nel senso che l’attività è considerata, di per sé, a prescindere dai suoi scopi o risultati (causa C-263/11, Ainārs Rēdlihs; causa C-219/12, Finanzamt Freistadt Rohrbach Urfahr; cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a.; causa C-230/94, Enkler; causa C-235/85, Commissione/Paesi Bassi).
Nel caso di specie, affermano i giudici dell’Unione, “un’attività come quella di cui trattasi deve essere qualificata come «economica», poiché presenta un carattere stabile ed è svolta a fronte di un corrispettivo percepito dall’autore dell’operazione” (si veda anche la causa C-421/17, Polfarmex).
Come precisato dalla sentenza, “è irrilevante, al riguardo, la circostanza che tale retribuzione sia fissata non già in funzione di prestazioni personalizzate, bensì in modo forfettario e su base annua” (si veda la causa C-182/17, Nagyszénás Településszolgáltatási Nonprofit).
Passando ad esaminare l’aspetto dell’esercizio indipendente dell’attività, è necessario verificare se il membro del consiglio di vigilanza sia escluso da imposizione ai sensi dell’articolo 10 Direttiva 2006/112/CE, in quanto la condizione che l’attività economica sia esercitata in modo indipendente non ricorre per “i lavoratori dipendenti ed altre persone se sono vincolati al rispettivo datore di lavoro da un contratto di lavoro subordinato o da qualsiasi altro rapporto giuridico che preveda vincoli di subordinazione in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione ed alla responsabilità del datore di lavoro”.
Il vero tema, in proposito, è quello di stabilire se tale soggetto svolga l’attività in nome proprio, per proprio conto e sotto la propria responsabilità, nonché se assuma il rischio economico legato all’esercizio dell’attività. In caso positivo, infatti, l’attività assume carattere indipendente, non essendo caratterizzata da alcun vincolo di subordinazione gerarchica (causa C-276/14, Gmina Wrocław).
Nella fattispecie, l’attività del membro del consiglio di vigilanza della fondazione è caratterizzata dall’assenza di vincoli di subordinazione gerarchica nei confronti dell’organo direttivo della fondazione e del consiglio di vigilanza.
Come rilevato dal giudice del rinvio, nell’esercizio delle sue funzioni di membro del consiglio di vigilanza della fondazione in questione, il ricorrente non agisce né in nome proprio, né per proprio conto, né sotto la propria responsabilità.
Dallo statuto della fondazione, infatti, emerge che “l’attività di membro di questo consiglio di vigilanza comporta, in taluni casi, la rappresentanza, sul piano giuridico, della fondazione, il che implica il potere di impegnare quest’ultima su tale piano. Inoltre, il giudice del rinvio precisa che i membri del citato consiglio di vigilanza non possono esercitare individualmente i poteri conferiti a tale consiglio e che essi agiscono per conto e sotto la responsabilità del consiglio medesimo. Emerge quindi che i membri del consiglio di vigilanza della fondazione interessata non sostengono individualmente né la responsabilità derivante dagli atti di questo consiglio adottati nell’esercizio della rappresentanza legale della fondazione di cui trattasi, né quella che può sorgere a titolo di danni causati a terzi nell’esercizio delle loro funzioni e che, pertanto, essi non agiscono sotto la propria responsabilità”.
Inoltre, l’attività del membro del consiglio di vigilanza, diversamente da quella dell’imprenditore, è caratterizzata dall’assenza di qualsiasi rischio economico. Sul punto, i giudici UE osservano che “un siffatto membro percepisce una retribuzione fissa che non dipende né dalla sua partecipazione alle riunioni né dalle ore di lavoro che egli ha effettivamente svolto. Pertanto, a differenza di un imprenditore, egli non esercita un’influenza significativa né sulle entrate né sulle spese (…). Per di più risulta che una negligenza commessa dal membro di un siffatto consiglio di vigilanza nell’esercizio delle sue funzioni non può incidere direttamente sulla retribuzione di tale membro, posto che, secondo lo statuto della fondazione in questione, una siffatta negligenza può comportare la revoca di quest’ultimo soltanto dopo che è stata osservata una procedura particolare”.
In definitiva, il membro del consiglio di vigilanza della fondazione, non agendo sotto la propria responsabilità e non sopportando neppure il rischio economico della propria attività, non risulta qualificabile come soggetto passivo Iva per carenza del requisito dell’indipendenza.