Residenza fiscale delle persone fisiche: nuove regole dal 2024
di Andrea RamoniTra le novità portate in dote dal legislatore della riforma, di sicuro rilievo sono quelle introdotte in materia di residenza fiscale, tanto per gli enti societari, quanto per le persone fisiche. In relazione a quest’ultime, infatti, il D.Lgs. 209/2023 ha completamente riscritto la disciplina contenuta nell’articolo 2, comma 2, Tuir, sicché dal 2024, pur rimanendo 3 i criteri da seguire per dirimere questioni aventi ad oggetto l’individuazione del paese di residenza fiscale, occorre interfacciarsi con nuove regole.
In via di estrema sintesi, il requisito dell’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente degrada da presunzione legale assoluta a presunzione legale relativa, con l’evidente conseguenza della possibilità, ove sia necessario agire in tal senso, di fornire la prova contraria della presunta residenza fiscale in Italia, anche a fronte di trasferimento all’estero non seguiti dalla formale cancellazione da detta anagrafe e contestuale iscrizione all’AIRE.
Tale criterio risulta di fatto sostituito da quello della presenza fisica, da valutarsi – con tutti i problemi del caso (che a breve osserveremo) – anche per la frazione di giorno.
Infine, a fronte della conferma della rilevanza del criterio della residenza, ai sensi dell’articolo 43, cod. civ., quello del domicilio, così come definito civilisticamente, lascia il posto ad una nuova definizione contenuta direttamente nel novellato articolo 2, comma 2, Tuir, che attribuisce rilevanza esclusivamente alle relazioni personali, abbandonando del tutto il dato fattuale degli interessi economico.
Dal punto vista letterale, tanto recita la nuova norma: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente”.
Se da un lato nuova definizione di domicilio consentirà di evitare gravose indagini fattuali sul luogo in cui insistono gli interessi professionali e quelli personali come esercizio necessario per determinare quali dei due siano prevalenti, dall’altro non possono tacersi le criticità dovute a tale cambio di rotta. Si pensi banalmente al fatto che, in tutti quei casi in cui non sussiste una relazione matrimoniale e filiazione, il requisito delle “relazioni personali” appare decisamente aleatorio e, come tale, strumentalizzabile dal contribuente in ottica residenza fiscale.
V’è poi da chiedersi se abbia avuto davvero senso rinunciare del tutto alla rilevanza del centro degli interessi economici.
A complicare il tutto, è sopraggiunta la Circolare n. 20/E/2024, con la quale l’Agenzia delle entrate, in relazione ad immobile tenuto a disposizione in Italia da parte di un cittadino residente all’estero, ha affermato che, nel caso di mantenimento di una casa in Italia, “lasciandovi attive le relative utenze, nella quale continua a rientrare nei fine settimana e dove trascorre alcuni periodi di astensione dal lavoro” si palesano di fatto circostanze che “possono rappresentare elementi sintomatici del mantenimento di un legame stretto con il nostro Stato e potrebbero dar luogo alla configurazione del domicilio nel nostro Paese”.
Spinosa, inoltre, la questione relativa alla “presenza fisica” in Italia, anche per frazione di giorno: si tratta, infatti, di una definizione del tutto innovativa nel panorama fiscale italiano e mutuata, forse troppo frettolosamente, dall’articolo15 del Modello OSCE. In tale ambito, infatti, la fattispecie rimane confinata ai rapporti di lavoro subordinato senza creare particolari effetti distorsivi. Estendere, invece, un simile criterio sino a farlo assurgere a principio generale pare quanto meno una scelta azzardata, se solo si pensa ai casi di frontalieri, oppure studenti oppure lungo degenti stranieri, che dovessero transitare oppure fermarsi in Italia per oltre 183 “mezze giornate” all’anno.
Invariata, invece, la formulazione del comma 2, dell’articolo 2, riservata alla disciplina delle fattispecie aventi ad oggetto il trasferimento in Paesi Black List, per la quale continua ad operare una presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia. Ciò attenzione, con solo riferimento ai cittadini italiani: esemplificando, dunque, un cittadino francese, fiscalmente residente in Italia che dovesse cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente per trasferirsi in un Paese Black List non sarà soggetto a tale presunzione.
Va, infine, ricordato che l’impianto delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in ambito OCSE è rimasto intatto, sicché nei casi di contrasto tra le norme domestiche dei due paesi, le questioni afferenti dalla residenza fiscale continueranno ad essere risolte dalla disciplina sovraordinata.