Responsabilità del professionista solo se il danno viene provato
di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365L’ordinanza n. 3782 della Corte di Cassazione, depositata ieri, 15 febbraio, rappresenta un utile spunto per tornare a soffermarsi sull’onere probatorio richiesto nell’ambito delle azioni di responsabilità professionale.
Il caso riguarda un professionista, convenuto in giudizio da una società cooperativa di cui curava gli adempimenti fiscali, per il risarcimento dei danni, non avendo lo stesso presentato la dichiarazione Iva per l’anno 2001. La domanda veniva accolta in primo grado, con condanna, per il professionista, al risarcimento di danni per un importo pari ad euro 685.641,96.
Il ricorso in cassazione promosso dal professionista ha però trovato accoglimento.
Al di là delle questioni afferenti la specifica dichiarazione Iva non trasmessa, si ritiene rilevante evidenziare il seguente passaggio dell’ordinanza in esame: “La motivazione della Corte d’Appello non è … centrata laddove confonde del tutto il concetto di inadempimento (per inesattezza della prestazione professionale) con quello di responsabilità avente ad oggetto l’obbligazione risarcitoria: quest’ultima sussiste solo se venga accertata la esistenza e l’ammontare del danno. Quindi se il credito Iva era fittizio o richiesto fraudolentemente, o ancora non risultava contabilizzato nelle scritture o mancavano le fatture, tale credito rimaneva indimostrato e dunque non poteva considerarsi «perdita patrimoniale»”.
Il soggetto che intende promuovere un’azione di risarcimento danni, pertanto, deve dimostrare il danno subito.
Secondo i principi richiamati dall’ormai consolidata giurisprudenza, infatti, la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone:
- la prova del danno e
- la prova del nesso causale tra la condotta del professionista e il pregiudizio del cliente.
Sul punto si richiamano Cassazione, n. 9917/2010 e Cassazione, n. 10966/2004.
Più recentemente la stessa Corte di Cassazione è tornata a soffermarsi su questi aspetti, ribadendo non solo che la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, ma si è altresì soffermata sulle specifiche responsabilità del commercialista incaricato dell’impugnazione di un avviso di accertamento tributario.
In questi casi sono stati ritenuti estendibili i principi riferiti alla diligenza professionale dell’avvocato, secondo i quali l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso alla commissione tributaria, che avrebbe dovuto essere proposto e diligentemente seguito (Cassazione, n. 9917/2010 e Cassazione, n. 13873/2020).
Gli stessi principi hanno trovato accoglimento anche in un’altra recente questione, sempre riguardante un’azione di responsabilità nei confronti di un Dottore commercialista, il quale aveva spedito un’istanza di accertamento con adesione tardivamente, attribuendo rilievo alla data di spedizione dell’istanza in luogo di quella, effettivamente rilevante, di ricevimento.
Anche in questo caso sono stati richiamati i principi di valutazione prognostica e la Corte ha rigettato le richieste di risarcimento danni, alla luce del fatto che non era stato prospettato alcun elemento idoneo a dimostrare, quantomeno in termini probabilistici, che la procedura di adesione, se svolta nel merito, avrebbe avuto esito positivo e sarebbe dunque culminata disponendo le riduzioni delle sanzioni previste dalla norma. Il danno risarcibile, dunque, non è stato ritenuto provato.