Rettifiche inventariali: la Legge prevale sulla prassi amministrativa
di Marco BargagliMolto spesso, nel corso della verifica fiscale, gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria constatano la presenza delle c.d. “rettifiche inventariali”, nelle ipotesi in cui la giacenza contabile non sia allineata alla giacenza fisica della merce presente in magazzino.
Tali situazioni interessano, in particolare, i contribuenti che sono obbligati alla tenuta della contabilità di magazzino ai sensi dell’articolo 1 del D.P.R. 695/1996, in base al quale le relative scritture ausiliarie devono essere istituite a partire dal secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui, per la seconda volta consecutivamente, l’ammontare dei ricavi e il valore complessivo delle rimanenze sono superiori rispettivamente a € 5.164.568 e € 1.032.913.
Ciò premesso, nella prassi commerciale è molto frequente che al momento della rilevazione delle giacenze di magazzino l’imprenditore individui alcune differenze tra quanto risulta in contabilità, e ciò che, invece, è fisicamente presente presso i locali aziendali.
I motivi di tale disallineamento possono essere molteplici: cali naturali di peso della merce, scarti di lavorazione, errori nel carico e scarico contabile al momento dell’entrata e dell’uscita dei prodotti dal magazzino, distruzioni e deperimenti accidentali, furti ecc.
Per questo motivo, con le rettifiche inventariali si procede alla rettifica contabile delle quantità merceologiche.
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza 6185/2017, si è espressa proprio sul tema in esame, enunciando interessanti considerazioni circa il rapporto che intercorre tra i documenti di prassi emanati da parte dell’Agenzia delle Entrate e le correlate disposizioni di Legge confermando, in merito, la prevalenza di queste ultime.
Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti di una società un avviso di accertamento relativo al recupero di maggiore base imponibile ai fini Ires e Irap, per la deduzione di costi non inerenti e per il riscontro di differenze di magazzino “positive” e “negative”.
Infatti, a fronte della contabilizzazione di rettifiche inventariali, si realizza una presunzione legale relativa a carico del contribuente che potrebbe far “scattare” specifiche violazioni fiscali.
In particolare, l’articolo 1 del D.P.R. 441/1997 prevede che si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti.
Tra tali luoghi rientrano anche le sedi secondarie, le filiali, le succursali, le dipendenze, gli stabilimenti, i negozi, i depositi ed i mezzi di trasporto nella disponibilità dell’impresa.
La presunzione legale relativa ammette prova contraria e non opera se il contribuente dimostra che i beni stessi:
- sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti;
- sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà.
L’articolo 3 del D.P.R. 441/1997 prevede che i beni che si trovano in uno dei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni si presumono acquistati se lo stesso non dimostra di averli ricevuti in base a un rapporto di rappresentanza ovvero fornendo un adeguato titolo di provenienza, quale ad esempio:
- lo scontrino;
- la fattura;
- la ricevuta fiscale;
- il documento di trasporto;
- una specifica annotazione nel libro giornale o in altro libro e registro tenuto a norma dell’articolo 39 del D.P.R. 633/1972.
Ciò posto, gli ermellini hanno affrontato gli effetti derivanti dal conflitto che si potrebbe verificare tra i documenti di prassi emanati in subiecta materia da parte dell’Agenzia delle Entrate e le disposizioni normative censurando, di fatto, la sentenza di merito.
Nel caso in esame, il giudice di prime cure aveva applicato una circolare ritenuta, in sede di legittimità, contraria all’assetto giuridico di riferimento.
In particolare, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale ha motivato, in senso favorevole per la contribuente, sulla base di una nozione di normalità dello scostamento inventariale effettivamente recepita nella circolare AdE 31/E/2006.
Nel citato documento di prassi, infatti, è precisato che allorquando ci si trovi di fronte a “differenze inventariali” rilevate dallo stesso contribuente nella contabilità obbligatoria di magazzino .. (..) .. il verificatore è sempre chiamato ad una analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda controllata. Conseguentemente, se nel corso del controllo dovessero riscontrarsi le rettifiche contabili sopra descritte, sarà cura del verificatore non limitarsi alla ripresa a tassazione sic et simpliciter degli importi corrispondenti al valore delle predette differenze, ma esaminare il processo di formazione delle stesse e la loro natura fisiologica o patologica in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa e in relazione agli elementi ed alle informazioni eventualmente forniti dal contribuente.
In conclusione, accogliendo il ricorso presentato da parte dell’Agenzia delle Entrate, la Cassazione ha rilevato che le istruzioni impartite dall’amministrazione operano solo nei confronti dei verificatori in fase accertativa, ma non possono “influenzare il giudizio di legittimità dell’azione accertatrice, allorché sia sfociata in un atto formale di contestazione, rendendosi di fronte ad essa applicabili le sole norme di legge” (conformemente cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 10915/2015).
Infatti, secondo la Cassazione, la Commissione Regionale Tributaria invece di chiedersi se le presunzioni insite nel rilievo delle differenze inventariali fossero state superate secondo la disciplina di Legge, ne ha di fatto paralizzato l’operatività sulla base delle indicazioni di cui alla citata circolare dell’Agenzia dell’Entrate.