Rettifiche in materia di transfer pricing non rilevanti ai fini Iva
di Marco PeiroloLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2240 del 30 gennaio 2018, ha esaminato i riflessi ai fini Iva delle rettifiche in materia di transfer pricing, raggiungendo una conclusione comunitariamente orientata.
In linea, infatti, con le indicazioni della giurisprudenza della Corte di giustizia, è stato escluso che la disciplina in tema di prezzi di trasferimento sia applicabile, de plano, ai fini della determinazione della base imponibile Iva, in quanto il transfer pricing si basa sul concetto di “valore normale”, che nel sistema applicativo dell’Iva è ammesso nei soli casi tassativamente previsti dall’articolo 80 della Direttiva n. 2006/112/CE.
A seguito delle modifiche operate dal D.L. 50/2017, l’articolo 110, comma 7, Tuir stabilisce che “i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito (…)”.
Come indicato dalla Relazione illustrativa allo schema del D.L. 50/2017, la norma introdotta ha lo scopo di adeguare la terminologia della disciplina domestica in materia di prezzi di trasferimento alle più recenti indicazioni emerse nella sede dell’OCSE anche nell’ambito dei lavori del progetto “Base Erosion and Profit Shifting” (BEPS), ai fini della corretta determinazione del valore normale delle operazioni tra imprese associate e delle conseguenti variazioni del reddito.
In particolare, è stata adeguata la formulazione dell’articolo 110, comma 7, Tuir con il riferimento al principio di libera concorrenza (cd. “arm’s length principle”) nella determinazione del valore delle operazioni tra imprese associate, come enunciato nell’articolo 9 del modello OCSE e illustrato dalle Linee guida OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le Amministrazioni fiscali. La riscrittura della norma richiama gli orientamenti interpretativi già adottati nella prassi amministrativa in sede di introduzione degli oneri documentali in materia di prezzi di trasferimento e, confermando il rinvio al principio di libera concorrenza, come declinato in sede dell’OCSE, attribuisce flessibilità nell’adozione di metodi di valutazione che meglio rispondano alle dinamiche negoziali del mercato.
In ambito Iva, invece, il corrispettivo effettivamente ricevuto è un elemento cardine del meccanismo di applicazione dell’imposta, fondato sul principio di neutralità dell’imposta, che sarebbe violato ove la base imponibile fosse calcolata come un importo per ipotesi superiore al corrispettivo ricevuto.
Nell’articolo 73 della Direttiva n. 112/2006/CE, recepito in Italia dall’articolo 13 D.P.R. 633/1972, è previsto che, “per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi (…), la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni”, mentre gli articoli 167 ss. della stessa Direttiva riconducono il diritto di detrazione all’esigibilità e inerenza dell’acquisto del bene/servizio, senza contemplare alcun riferimento, e comunque non in modo diretto, al valore del bene o servizio.
Anche per la Corte europea, la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato deve ritenersi irrilevante (causa C-412/03, Hotel Scandic Gasabach). Né vi è elusione o evasione fiscale se i beni/servizi sono forniti a prezzi artificialmente bassi o elevati fra le parti, ove queste ultime beneficino entrambe del diritto alla detrazione (cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan and Sea Properties).
La base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuata a titolo oneroso risulta, pertanto, costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto dal soggetto passivo ed esso rappresenta il valore soggettivo, realmente percepito e non un valore stimato secondo criteri oggettivi (causa C-549/11, Orfey Balgaria e causa C-285/10, Campsa Estaciones de Servicio).
Esplicite conferme al riguardo si ricavano anche dal recente intervento della Commissione europea esplicitato nel Working Paper n. 923 del 28 febbraio 2017, da cui emerge che le rettifiche dei prezzi di trasferimento si riflettono sull’Iva se esiste una fornitura di beni o servizi a titolo oneroso, che a sua volta presuppone l’esistenza di un nesso diretto tra il bene ceduto o il servizio prestato, da un lato, e il corrispettivo ricevuto, dall’altro.
Al di fuori di questa ipotesi, il valore normale – definito dall’articolo 72 della Direttiva n. 2006/112/CE e dall’articolo 14 D.P.R. 633/1972 – ha un’applicazione limitata alle situazioni disciplinate dall’articolo 80 della Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’articolo 13, comma 3, lett. a), b) e c), del D.P.R. 633/1972, essendo richiesto, in particolare, che l’operazione sia effettuata tra soggetti collegati e caratterizzati da una limitazione del diritto di detrazione.
Nella sentenza n. 2240/2018, la Suprema Corte ha, inoltre, ricordato che, in condizioni normali, non è consentito all’Amministrazione finanziaria di rideterminare il valore dei beni e servizi acquistati dall’imprenditore, escludendo il diritto di detrazione se il valore è ritenuto antieconomico e, dunque, diverso da quello considerato “normale” o comunque tale da produrre un risultato economico (Cass. 4 giugno 2014, n. 12502).
I giudici di legittimità hanno, però, aggiunto che il calcolo dell’Iva sul corrispettivo può essere disatteso quando l’Amministrazione dimostri l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad Iva; in tal caso, spetta all’imprenditore l’onere di dimostrare che la cessione del bene o la prestazione del servizio è reale e inerente all’attività svolta (Cass. 27 settembre 2013, n. 22130 e n. 22132).