18 Gennaio 2019

Reverse charge interno e fatturazione elettronica

di Fabio GarriniFrancesco Zuech
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Continua a suscitare perplessità la Faq del 27.11.2018 sull’allegato integrativo in XML chiamato (impropriamente) “autofattura” attraverso il quale gestire il reverse charge nei rapporti interni, quelli cioè fra operatori residenti, dove il fornitore è chiamato ad emettere fattura elettronica con natura “N6” (si pensi, ad esempio, alla fattura ricevuta per servizi di pulizia).

A nostro parere, il reverse charge interno va gestito (solo) attraverso i registri, mentre pare del tutto inutile (se non controproducente) rincorre ad altre soluzioni con non funzionano.

Fattura elettronica e acquisti con inversione contabile

Nelle operazioni assoggettata a reverse charge interno (articolo 17, commi 5 ss., e articolo 74, commi 7 e 8, D.P.R. 633/1972) la tecnica contabile che gli operatori devono utilizzare è quella dell’integrazione (lo dice chiaramente la norma stessa), che consiste:

  1. nel riportare sul documento l’aliquota e l’imposta;
  2. nell’effettuare la protocollazione e l’annotazione nel registro vendite o corrispettivi (per assolvere l’imposta) nel mese di arrivo (o al massimo entro 15 giorni, ma con imputazione al mese di arrivo);
  3. nell’annotare (senza più obbligo di protocollazione) nel registro acquisti per esercitare il diritto alla detrazione (nel mese stesso di arrivo oppure successivamente nei termini dell’articolo 19 D.P.R. 633/1972).

L’integrazione (adempimento di cui al precedente punto 1), con riferimento ad una fattura XML, pare del tutto evidente, è adempimento che materialmente non può essere realizzato.

Infatti, la fattura elettronica deve essere, fra le altre cose, non modificabile (rectius “integra”) per definizione (articolo 21, comma 3, D.P.R. 633/1972).

Ora, vale la pena di notare che quello che è impossibile fare non lo si fa, semplicemente, senza ricercare (tantomeno imporre) strade alternative non previste da alcuna norma.

Va infatti rimarcato che la norma (i citati articolo 17, comma 5, e articolo 74, comma 7, D.P.R. 633/1972) non è stata cambiata e in nessuna altra norma viene previsto che, in mancanza di integrazione, possa essere consentito procedere con l’emissione di un’autofattura o comunque di un “allegato” integrativo.

Quanto indicato nella FAQ di novembre (così come nella circolare AdE 13/E/2018 e, ancora prima, anche nella circolare 45/E/2005 § 2.7.2) non può pertanto che rappresentare una alternativa ammissibile (per chi ama il masochismo) ma non certo obbligatoria, in quanto non prevista da alcuna legge.

Anzi, a ben vedere, risulta contrario alla norma vigente.

Peraltro la stessa Agenzia delle Entrate, in passato, ha essa stessa negato l’alternatività fra le due tecniche per assolvere l’imposta in inversione contabile, autofattura o integrazione.

Si veda al riguardo la circolare AdE 16/E/2013 (§ 3.3.2), e in tema non mancano neppure posizioni giurisprudenziali (eccessivamente rigorose sul dato formale) che hanno sancito la sanzionabilità del contribuente che sbaglia tecnica (su tutte Corte di Cassazione n. 10819 del 05.05.2010).

Va peraltro osservato che la FAQ in questione parla di “una modalità alternativa all’integrazione della fattura” attraverso la predisposizione di un altro documento (l’autofattura) che “può” (e non necessariamente “deve”) essere inviato al Sistema di Interscambio con conservazione gratuita da parte dell’AdE nel caso di attivazione dell’accordo di servizio.

Quindi pare evidente anche all’Agenzia che tale tecnica certo non può considerarsi obbligatoria, ma meramente una facoltà.

Conferma in tal senso è arrivata peraltro in occasione della videoconferenza del 15 gennaio organizzata dal CNDCEC.

A giudizio di chi scrive, in sostanza, essendo impossibile praticare sulla fattura l’integrazione di cui al punto 1) non resta che applicare esclusivamente l’annotazione nei registri (punti 2 e 3) come se il documento fosse “virtualmente” integrato.

Nulla vieta ovviamente di generare un allegato di appoggio ma, a nostro giudizio, da gestire rigorosamente con la cara vecchia carta (e come tale da conservare) evitando il formato XML e la trasmissione al SdI, che finirebbe nella grande totalità dei casi per autocertificare i ritardi nell’applicazione dell’integrazione.

I tempi per assolvere l’imposta con inversione contabile sono infatti, a norma dell’articolo 17, comma 5, D.P.R. 633/1972, molto stretti: l’assolvimento entro il mese di arrivo della fattura, nei fatti, si presenta incompatibile con una normale prassi aziendale.

Si pensi, ad esempio, alla fattura elettronica dell’impresa di pulizia dei locali emessa il 31 gennaio con applicazione del reverse charge che il committente dovrebbe integrare lo stesso giorno o al più tardi entro il 15 febbraio ma con riferimento al 31/1 (per buona pace di tutte le discussioni sul fatto che emissione e trasmissione dovrebbe essere sincrona).

La tenuta dei registri sezionali non è obbligatoria ma la loro adozione, come si fa da tempo, consentirà di gestire “sotto traccia” (entro la scadenza delle comunicazioni Li.Pe) quei ritardi fisiologici che da sempre interessano (inutile nasconderlo) non solo la moltitudine delle piccole imprese (che si avvalgono, per la quasi generalità, di servizi in outsourcing) ma anche le imprese più strutturate che si occupano direttamente della propria contabilità.

Non è probabilmente un caso che anche Assosoftware (comunicato del 14/1/2019) abbia rotto gli indugi e – in attesa di chiarimenti che devono essere forniti con la massima tempestività – abbia pertanto suggerito l’applicazione del reverse direttamente nei registri.

Condividiamo.  Qualcuno si deve prendere la responsabilità di dire che non ci sono altre soluzioni: o si cambia la norma imponendo l’autofattura in luogo dell’integrazione (ma non si vede quali margini vi possano essere dal lato della tempistica) oppure occorre ammettere esplicitamente che l’inversione contabile può essere adempiuto semplicemente attraverso l’annotazione nei registri (poco importa se soppressi o meno).

Una soluzione, invero, a tutto questo paradosso, ci potrebbe essere ma richiede una modifica normativa: allineare le modalità compilative delle fatture del fornitore che effettua operazioni in reverse a quelle dello split payment.

In definitiva, auspichiamo che l’imposta dovuta in inversione contabile possa essere assolta in sede di contabilizzazione della fattura di acquisto: si tratta di una soluzione più conforme al dettato normativo e certamente molto più agevole per tutti i contribuenti.

Invitiamo l’Agenzia ad esprimersi avallando questo comportamento; speriamo che lo faccia con la massima tempestività. Il tempo stringe, fine mese si avvicina.

Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso:

Reverse charge e split payment