Reverse charge Iva e qualificazione del contratto
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariLa recente introduzione della nuova fattispecie di reverse charge Iva nelle prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e di completamento relative ad edifici, di cui all’art. 17, comma 6, lett. a-ter), del D.P.R. n.633/1972, efficace dal 1° gennaio 2015 (Legge n. 190/2014) ha riportato alla ribalta l’importante distinzione tra cessione con posa in opera, rientrante tra le cessioni di beni, e le prestazioni d’opera o d’appalto, qualificate come prestazioni di servizi. Solo queste ultime, infatti, possono rientrare nell’ambito applicativo dell’inversione contabile in presenza degli altri requisiti previsi dalle legge.
In occasione dell’introduzione del reverse charge nelle prestazioni di subappalto nel settore edile (art. 17. comma 6, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972), la Circolare n. 37/E/2006 ha richiesto che la prestazione sia riconducibile nell’ambito di un contratto d’appalto o di prestazione d’opera, mentre sono esclusi (con conseguente applicazione dell’Iva nei modi ordinari) i rapporti riconducibili alla cessione di beni con posa in opera, in quanto il servizio della posa in opera assume funzioni accessorie rispetto alla cessione del bene, che costituisce l’oggetto del contratto.
Sul punto, l’Agenzia delle entrate, nella Circolare n. 37/E/2006 citata non ha fornito particolari delucidazioni, limitandosi a ricordare che il contratto d’appalto e la prestazione d’opera, entrambi riconducibili nel novero delle prestazioni di servizi, hanno in comune alcuni elementi e presentano delle differenze in altri aspetti. In particolare:
- in entrambe le tipologie contrattuali il prestatore assume un’obbligazione di risultato, non assume alcun vincolo di subordinazione e assume direttamente il rischio derivante dall’esecuzione della prestazione;
- la principale differenza consiste nel requisito dell’organizzazione: infatti, nell’appalto l’esecutore si avvale di una struttura organizzativa normalmente articolata, mentre nel contratto d’opera prevale l’apporto lavorativo diretto del prestatore.
Nella realtà quotidiana ed operativa, è tutt’altro che agevole distinguere se una determinata operazione possa rientrare nello schema dell’appalto, o della prestazione d’opera, ovvero in quello della cessione dei beni con posa in opera, soprattutto considerando che non sempre (anzi, quasi mai) le parti stipulano accordi in forma scritta per regolare i reciproci obblighi e diritti. Un aiuto per la soluzione del problema può essere ricercato nella prassi dell’Amministrazione finanziaria e nella giurisprudenza di legittimità ed in quella della Corte di Giustizia Ue. Per quanto riguarda la giurisprudenza di legittimità, si segnalano le seguenti pronunce della Cassazione:
- sentenza 28.10.1958, n. 3517: è stato evidenziato che “oggetto del contratto di appalto è il risultato di un facere (anche se comprensivo di un dare) che può concretarsi così sia nel compimento di un’opera che di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente, dietro corrispettivo (….) mentre oggetto del contratto di vendita può consistere sia in un “dare” che in una obbligazione di “dare” e di “fare”;
- sentenza 17.4.1970, n. 1114: si sottolinea che “deve desumersi dalle clausole contrattuali se la volontà delle parti ha voluto dare maggior rilievo al trasferimento di un bene o al processo produttivo di esso”.
Per quanto riguarda invece la prassi dell’Amministrazione finanziaria, è interessante riprendere il contenuto della Risoluzione del 05.07.1976, n. 360009, in cui è stato precisato che:
- “sono sempre da considerarsi contratti di vendita (e non di appalto) i contratti concernenti la fornitura, ed eventualmente anche la posa in opera, di impianti di riscaldamento, condizionamento d’aria, lavanderia, cucina, infissi, pavimenti, ecc., qualora l’assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e materiali sopra menzionati”;
- “tuttavia, nel caso particolare che le clausole contrattuali obbligassero l’assuntore degli indicati lavori a realizzare un “quid novi” rispetto alla normale serie produttiva, deve ritenersi prevalente l’obbligazione di “facere”, in quanto si configurano gli elementi peculiari del contratto di appalto e, precisamente, l’intuitus personae e l’assunzione del rischio economico da parte dell’appaltatore”.