Reverse charge per operazioni tra soggetti non residenti
di Marco PeiroloPer le operazioni territorialmente rilevanti ai fini IVA in Italia, poste in essere da soggetti non residenti, si pone il problema di stabilire se l’imposta sia dovuta dal cedente/prestatore o dal cessionario/committente che agisce in veste di soggetto IVA.
La questione assume rilevanza anche quando il destinatario del bene/servizio non sia stabilito in Italia, cosicché – a fronte di una cessione o prestazione che soddisfa il presupposto territoriale – occorre individuare quale sia la controparte tenuta ad identificarsi agli effetti dell’IVA in Italia al fine di adempiere ai relativi obblighi, formali e sostanziali.
Come regola generale, l’articolo 17, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 prevede che debitore dell’IVA sia il soggetto passivo dell’operazione, cioè il cedente/prestazione, per cui è quest’ultimo il soggetto obbligato ad aprire una posizione IVA in Italia, nominando un rappresentante fiscale o, laddove possibile, identificandosi direttamente, ex articolo 35-ter dello stesso D.P.R. n. 633/1972.
L’eccezione è rappresentata dalle operazioni per le quali la normativa italiana prevede l’applicazione del meccanismo del reverse charge, traslando sul cessionario/committente l’obbligo d’imposta. Si tratta, nella specie, delle cessioni e delle prestazioni contemplate dagli articoli 17, commi 5, 6 e 7, e 74, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 633/1972, per le quali il debitore della relativa imposta resta il destinatario del bene/servizio anche se non stabilito in Italia.
Tale conclusione non si desume in modo chiaro dalle disposizioni in esame, in base alle quali l’operatore tenuto al pagamento dell’imposta relativa alla cessione o alla prestazione è il cessionario/committente se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. Ed anzi, la possibilità di qualificare come debitore IVA il cessionario/committente non residente sembrerebbe preclusa tout court dall’articolo 17, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, che esclude l’estensione del meccanismo di inversione contabile nel caso in cui le cessioni di beni o le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, siano effettuate da un soggetto passivo non residente e privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato nei confronti di cessionari/committenti soggetti passivi che siano anch’essi stabiliti fuori del territorio dello Stato.
Sulla questione è intervenuta l’Agenzia delle Entrate, chiarendo che la previsione del citato terzo comma dell’articolo 17 non si applica alle operazioni soggette a reverse charge cd. “interno”, vale a dire alle fattispecie elencate negli articoli 17, commi 5, 6 e 7, e 74, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 633/1972, per le quali debitore d’imposta resta il cessionario/committente soggetto passivo, anche se non stabilito in Italia.
Nella risoluzione n. 28/E/2012, in particolare, si afferma che, per tali operazioni, la regola generale dell’articolo 17, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 (debitore IVA = soggetto passivo dell’operazione), deve “essere derogata tutte le volte in cui, in forza di disposizioni speciali, il debitore di imposta sia espressamente individuato, anche per le operazioni fra soggetti stabiliti in Italia, nel cessionario o committente”. In pratica, come ribadito da ultimo dalla circolare n. 21/E/2016, “il debitore dell’imposta è da individuarsi in ogni caso nel cessionario, ove soggetto passivo ai fini IVA, anche se non avente né sede né stabile organizzazione in Italia, indipendentemente dal fatto che il soggetto passivo cedente abbia la sede o la stabile organizzazione in Italia e dal fatto che tale ultimo soggetto sia identificato ai fini IVA in Italia. Per assolvere il predetto obbligo, dunque, il cessionario – in assenza di sede o di stabile organizzazione nel territorio dello Stato – dovrà identificarsi ai fini IVA in Italia oppure dovrà provvedere alla nomina di un rappresentante fiscale”.
Tali indicazioni superano:
- da una parte, la circolare n. 37/E/2011, ove viene richiesto che il cessionario/committente sia stabilito in Italia, in modo che la soggettività passiva alla quale è subordinata l’inversione contabile sia riconosciuta esclusivamente nei confronti di chi svolge l’attività economica in Italia, avendo ivi fissato la sede dei propri affari o ivi disponga di una stabile organizzazione;
- dall’altra, la risoluzione n. 36/E/2011, che reputa sufficiente, ai fini dell’applicazione del reverse charge, il possesso di un numero di partita IVA in Italia da parte del cessionario/committente stabilito all’estero.