Riaddebiti di costi tra professionisti: asimmetrie da gestire in UNICO
di Fabio Garrini
Non è raro, soprattutto in questi periodi di difficoltà economica, che diversi soggetti esercenti attività di lavoro autonomo decidano di condividere gli stessi locali per svolgere la propria attività: il riferimento è a situazioni ove ciascuno dei professionisti mantiene la propria individualità fiscale, quindi senza costituire uno studio associato, ma semplicemente con l’intento di dividere i costi comuni di gestione.
La configurazione standard prevede che un professionista faccia da “gestore dei costi”, intestandosi i diversi contratti (locazione, utenze, acquisti di cancelleria comune, ecc) e periodicamente provvede a riaddebitare a ciascuno dei professionisti con cui condivide la struttura la relativa quota di competenza, secondo gli accordi precedentemente presi. Come gestire, a livello reddituale, tali ribaltamenti?
Sul punto consta una interpretazione non recentissima dell’Agenzia delle Entrate – si tratta della CM 58/E del 18 giugno 2001 – secondo cui detto riaddebito deve essere realizzato attraverso l’emissione di fattura assoggettata ad IVA e, ai fini reddituali, le somme rimborsate dagli altri utilizzatori comportano una riclassificazione in diminuzione del costo sostenuto dal professionista intestatario dell’utenza. Non venne precisato in tale sede, ma pare un’ovvia conseguenza quella di affermare che quanto preteso dalla controparte, non avendo natura di compenso, risulterebbe non assoggettabile a ritenuta.
La rilevanza reddituale dei riaddebiti
Con un successivo contributo l’Agenzia – CM 38/E del 28 giugno 2010 – ha avuto modo di tornare ad esprimersi sul punto per valutarne in maniera più puntuale gli effetti reddituali.
Prima di tutto viene esaminata la posizione del professionista che effettua detto riaddebito: poiché parte dei costi che sostiene gli vengono rimborsati da altro soggetto, tale quota di costo non può considerarsi inerente all’attività, quindi sarà indeducibile. Secondo l’Agenzia il costo rimborsato al professionista dal collega per l’uso comune del locale di esercizio dell’attività nel periodo d’imposta successivo non può considerarsi rilevante ai fini reddituali per il professionista che lo riceve.
Quindi, se il professionista Mario Rossi sostiene nel 2013 un costo di 1.000 che provvede a riaddebitare a Luigi Bianchi per 200, potrà dedurre solo 800 perché i rimanenti 200 non sono inerenti; peraltro, se l’importo di 200 dovesse essere incassato nel 2014, comunque esso sarà irrilevante dal punto di vista reddituale.
Luigi Bianchi, dal canto suo, potrà dedurre l’importo di 200 addebitatogli, ma in ossequio al principio di cassa che regola il reddito di lavoro autonomo, detta deduzione sarà ammissibile solo nell’anno in cui interviene materialmente il pagamento. Quindi, nell’esempio proposto, il 2014.
In altre parole, non si deve cercare una simmetria tra le due situazioni: chi addebita deduce il costo pagato solo se inerente, chi subisce l’addebito parà esclusivo riferimento al momento in cui corrisponde la propria quota di costo.
Questo ovviamente se le due parte del rapporto sono entrambi professionisti. Se il soggetto che subisce il riaddebito è un’impresa (assicuratore, agente di commercio, ecc), quest’ultimo dedurrà i costi per competenza, ferma comunque restando l’indeducibilità per il professionista che opera il ribaltamento sulla controparte del costo per egli non inerente.