16 Dicembre 2013

Ribadita la responsabilità penale del “prestanome” in concorso con l’amministratore di fatto

di Luigi Ferrajoli
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La Corte di Cassazione si esprime nuovamente sul tema della responsabilità penale del soggetto che riveste la carica di amministratore di società in via del tutto formale ed apparente, ovvero il cosiddetto “prestanome”.

Con la sentenza n. 47110 del 27/11/2013, la III sezione penale della Cassazione accoglie il ricorso per saltum proposto dal Procuratore Generale della Repubblica avverso una pronuncia del Tribunale di Bergamo che aveva assolto, per non aver commesso il fatto, l’amministratore di una società dai reati di dichiarazione infedele ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Il giudice di merito aveva osservato che l’imputato, pur avendo assunto formalmente la carica di amministratore della società, in realtà era solo un prestanome del vero gestore di fatto, che il medesimo aveva da tempo rilevato una serie di irregolarità e, dopo essere stato ascoltato dalla Guardia di Finanza, si era dimesso.

Aveva quindi ritenuto che l’imputato non avesse commesso i reati, perché dagli atti risultava provato che questi fosse estraneo alla vita economica dell’impresa societaria, gestita a sua insaputa, inoltre la predisposizione e presentazione delle dichiarazioni dei redditi, così come l’emissione delle fatture, erano attività che ben potevano essere state poste in essere dall’amministratore di fatto.

Il Procuratore ha censurato la decisione per violazione dell’articolo 40 cpv Cod.Pen. e articolo 2392 Cod.Civ. rilevando in particolare che l’amministratore di diritto, quale legale rappresentante della società, è obbligato alla presentazione delle dichiarazioni IVA e IRES ed è formalmente titolare di una posizione di garanzia, per cui risponde a titolo responsabilità omissiva in ordine alle violazioni della legge tributaria, avendo l’obbligo di impedire l’evento, anche se esiste, come nel caso di specie, un amministratore di fatto, il quale concorre nel reato.

Secondo il ricorrente, allorché l’amministratore di diritto, disinteressandosi dai compiti che gli sono imposti dalla legge, consente che altri realizzino condotte delittuose, deve ritenersi responsabile perché l’inerzia è sinonimo di omissione e questa può essere effetto di negligenza ma anche di dolo; inoltre il prestanome risponderebbe a titolo di dolo eventuale perché, accettando la carica sociale, ne assume anche i rischi connessi.

Pronunciandosi a favore dell’accusa, la Cassazione rammenta che l’equiparazione degli amministratori di fatto a quelli formalmente investiti è stata da tempo affermata sia nella materia civile che in quella penale e tributaria, ove si è chiarito che vero soggetto qualificato non è il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la società, perché solo lui è in condizione di compiere l’azione dovuta mentre l’estraneo è il prestanome.

Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che anche al prestanome può essere imputata una corresponsabilità in base alla posizione di garanzia di cui all’articolo 2392 Cod.Civ., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi: l’amministratore di fatto è quindi il soggetto attivo del reato mentre il prestanome riveste il ruolo di concorrente per non avere impedito l’evento che, in base alla norma citata, aveva il dovere di impedire.

Poiché il prestanome spesso non ha concretamente alcun potere d’ingerenza nella gestione della società, la Cassazione, per poter addebitargli il concorso, in diverse pronunce ha fatto ricorso alla figura del dolo eventuale, sostenendo proprio che il prestanome, accettando la carica, ha anche accettato i rischi connessi a tale ruolo.

La Suprema Corte evidenzia inoltre, nella sentenza in commento che, nel caso in esame, dalla stessa sentenza impugnata risulta che l’amministratore di diritto era effettivamente venuto a conoscenza di aspetti di dubbia regolarità della gestione societaria da parte dell’amministratore di fatto e, solo a seguito dell’audizione da parte dei militari della Guardia di Finanza, che avevano eseguito l’ispezione alla società, aveva ritenuto di dimettersi.

Secondo i giudici di legittimità, non corrisponde dunque al vero che il prestanome fosse completamente privo di poteri di ingerenza o della capacità di disporre di documentazione; di conseguenza, annullano la decisione impugnata sostenendo che il giudice di merito avrebbe dovuto porsi il problema del dolo eventuale dell’amministratore di diritto “prestanome”, invece di concentrare la propria indagine esclusivamente sull’autore della materiale esecuzione delle condotte e sulla sostanziale estraneità dell’imputato alla vita economica dell’impresa, gestita di fatto da altri.