Ricavi in nero se il titolare “sopporta” le spese ma la cassa è in rosso
di Angelo GinexIn tema di accertamento analitico-induttivo, l’effettuazione di pagamenti con la liquidità del titolare, in presenza di un saldo negativo di cassa della ditta individuale, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati.
È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7634, depositata ieri 18 marzo, la quale consolida il filone giurisprudenziale formatosi in materia (cfr., Cass. sent. 31.05.2011, n. 11988; Cass. sent. 25.10.2017, n. 25289).
La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle entrate riconosceva in capo ad una ditta individuale un maggior reddito di impresa relativamente all’anno di imposta 2006 e procedeva, dunque, a recuperare a tassazione gli importi fiscali sui ricavi omessi.
Detto atto veniva impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale accoglieva l’impugnazione solo limitatamente alla ritenuta deducibilità dei costi. Il contribuente proponeva appello, ma la Commissione tributaria regionale della Campania confermava la sentenza di primo grado.
Così, al fine di ottenere l’annullamento di quest’ultima sentenza, il contribuente proponeva ricorso in Cassazione, lamentando l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, oltre che per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In particolare, il ricorrente evidenziava che la Commissione tributaria regionale aveva basato l’accertamento fiscale su una presunzione correlata al saldo negativo transitorio del c.d. “conto cassa” ed inoltre aveva trascurato che gli sconfinamenti erano stati ripristinati, i ricavi erano stati iscritti nel conto economico e il debito nei confronti del titolare della ditta era stato saldato. I pagamenti tramite anticipazioni, secondo il contribuente, erano ascrivibili a ritardi nella esazione dei crediti.
La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto dal contribuente. Ha infatti confermato la tesi dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui la circostanza che il titolare della ditta individuale effettuava pagamenti nonostante il conto di cassa “in rosso” ed esibiva voci di spesa di entità superiore a quella degli introiti registrati fosse sintomatica dell’esistenza di ricavi non registrati.
Trattasi di un principio che conferma un orientamento già consolidato della Corte di Cassazione (cfr., Cass. sent. 25.10.2017, n. 25289; Cass., sent. 31.05.2011, n. 11988), secondo cui: «in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini Irpeg e Iva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo».
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha evidenziato infatti che: «una chiusura di cassa con segno negativo, oltre a rappresentare, sotto il profilo formale, un’anomalia contabile, assurge, secondo la trama argomentativa della sentenza d’appello, a presunzione di omessa contabilizzazione di guadagni (cfr., Cass. n. 24509/2009; Cass. n. 27585/2008).
In conclusione, i giudici di vertice hanno sottolineato che le censure poste a fondamento del ricorso non possono risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali differente da quella operata dal giudice di merito o investire la ricostruzione della fattispecie concreta o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.
Sono stati poi rigettati gli altri motivi di ricorso in quanto ritenuti generici ed imprecisi con riferimento ai dati che assumono trascurati dal giudice d’appello e che espongono alla stregua di fatti storici, risolvendosi, a detta della Corte, nella critica soggettiva alla valutazione degli elementi fattuali e probatori operata dai giudici di appello.
Sulla base di tali argomentazioni, il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile e la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali.