Ricerca commissionata dall’estero e credito R&S
di Debora ReverberiL’Agenzia delle entrate torna a pronunciarsi in materia di attività di R&S commissionata da impresa estera ad impresa residente in Italia (o ad una stabile organizzazione in Italia di impresa non residente) con la risposta all’istanza di interpello n. 83 del 26.03.2019.
L’inclusione, fra gli investimenti ammissibili al credito R&S, delle spese sostenute in relazione ad attività di R&S effettuata per conto di imprese committenti estere decorre dal periodo d’imposta successivo al 31.12.2016.
Si tratta infatti di un’estensione dell’ambito applicativo soggettivo della disciplina agevolativa introdotto dalla L. 232/2016 (c.d. Legge di Bilancio 2017), con l’aggiunta del comma 1-bis all’articolo 3 D.L. 145/2013, convertito, con modificazioni, dalla L. 9/2014, al caso di contratti stipulati con imprese residenti o localizzate in:
- altri Stati membri dell’Unione Europea,
- negli Stati aderenti all’accordo sullo Spazio Economico Europeo,
- in Stati compresi nell’elenco di cui al M. 04.09.1996.
Prima dell’entrata in vigore della modifica normativa le spese di R&S sostenute da imprese residenti in esecuzione di contratti di ricerca stipulati con imprese non residenti e prive di stabile organizzazione in Italia non erano ammissibili ai fini della determinazione del credito d’imposta e parimenti non rilevavano ai fini del calcolo della media storica.
A seguito della modifica normativa, come chiarito sia al paragrafo 1.6, sia al paragrafo 2.2 della circolare Ade 13/E/2017, il soggetto commissionario residente che esegue attività di R&S per conto di committenti esteri viene ora equiparato, ai fini dell’agevolazione, al soggetto residente che effettua investimenti in proprio: nella determinazione del credito di imposta trovano dunque applicazione le medesime regole valide per le imprese residenti che effettuano investimenti in R&S.
Sul tema si è ulteriormente espressa l’Agenzia delle entrate:
- prevedendo l’obbligo di inclusione nella media del triennio 2012-2014 delle spese di R&S sostenute su commessa estera, anche in assenza di ricerca commissionata dall’estero nel periodo d’imposta di riferimento (risposta all’istanza di interpello n. 58 del 02.11.2018)
- fornendo i relativi chiarimenti di prassi e precisando che l’estensione si applica anche nell’ipotesi in cui il contratto sia stipulato con una parte correlata, nonché nel caso in cui le spese agevolabili siano sostenute da una stabile organizzazione in Italia in esecuzione degli accordi intercorrenti con la casa madre estera (principio di diritto n. 15 del 11.12.2018).
L’istanza di interpello attiene, in particolare, le attività e gli investimenti ammissibili al credito R&S per i soggetti residenti commissionari che eseguono attività di R&S per conto di impresa estera.
L’istante è una società italiana operante nel settore farmaceutico che svolge attività di R&S in Italia sia per conto proprio, sia su commessa della società madre statunitense.
L’attività di R&S svolta dall’impresa italiana consiste nella sperimentazione clinica di farmaci per uso umano su commessa estera, tramite parziale subappalto di attività a soggetti terzi residenti in Italia, quali ospedali e istituti pubblici, strutture universitarie, enti pubblici e privati di ricovero e cura a carattere scientifico.
I costi sostenuti e ritenuti ammissibili dall’istante appartengono alle due seguenti fattispecie:
- spese del personale, di cui all’articolo 3, comma 6, lett. a), D.L. 145/2013,
- spese per contratti di ricerca extra muros, di cui all’articolo 3, comma 6, lett. c), D.L. 145/2013.
Il quesito verte sull’ammissibilità al credito R&S dell’attività svolta dall’istante sotto il profilo oggettivo, in relazione all’attività di sperimentazione clinica commissionata all’impresa italiana in base ad uno specifico accordo con la casa madre.
Trattandosi di una problematica inerente la riconducibilità di determinate attività aziendali alle attività di R&S agevolabili la relativa valutazione di natura tecnica è di competenza del Mise, che ha risposto con nota interna del 09.11.2018.
Il parere tecnico del Mise si focalizza su due aspetti:
- la corretta interpretazione dell’articolo 3, comma 1-bis, D.L. 145/2013, per l’individuazione delle attività di R&S rilevanti nella quantificazione del credito d’imposta del soggetto commissionario;
- l’individuazione di attività e costi ammissibili collegabili alla sperimentazione clinica.
Il Mise interpreta l’estensione alla R&S commissionata ad impresa residente da committente estero limitatamente alle attività svolte direttamente dal soggetto commissionario in laboratori o strutture ubicate in Italia.
L’istante dovrà pertanto operare una distinzione tra:
- spese sostenute per attività svolte direttamente in esecuzione del contratto con la casa madre, che generano un credito spettante all’istante,
- spese sostenute per attività in subappalto ad altri soggetti residenti (centri ed enti di ricerca) in base ad apposite convenzioni, che generano un credito imputabile al soggetto terzo.
Ne consegue l’ammissibilità, nel caso in esame, dei soli costi sostenuti per le attività direttamente svolte dal proprio personale e direttamente connesse alla sperimentazione clinica, rendendosi necessario un ulteriore distinguo tra:
- le attività collegate strettamente alla risoluzione di incertezze scientifiche e tecnologiche oggetto dello specifico progetto di ricerca, che sono meritevoli di beneficio fiscale;
- le attività non collegate direttamente alla conduzione della sperimentazione clinica, che non sono ammissibili.
In particolare il Mise richiama l’elencazione delle spese per “consulenze regolatorie” ammissibili contenuta nella risoluzione Ade 122/E/2017, in risposta ad una richiesta di consulenza giuridica avanzata da un’associazione rappresentante imprese e parchi tecnologici e scientifici che operano in Italia nei diversi settori delle scienze della vita, promuovendo lo sviluppo e la tutela delle biotecnologie in tutte le loro aree di applicazione.
Per “consulenza regolatoria” si intende l’insieme di tutte quelle attività connesse e propedeutiche all’immissione sul mercato di un farmaco, alla brevettabilità dello stesso o di un processo: sono i regulatory affairs, i servizi connessi allo sviluppo e alla realizzazione di uno specifico farmaco, sia nella fase antecedente alla sua messa in commercio, sia in quella successiva.
Fra le spese di consulenza regolatoria ammissibili rientrano:
- le spese finalizzate alla definizione delle caratteristiche scientifiche e del disegno dello studio clinico,
- gli oneri, detti “fees”, finalizzati agli studi clinici.
Non sono ammissibili:
- le spese attinenti attività regolatorie finalizzate alla preparazione della documentazione destinata all’ottenimento delle autorizzazioni ad eseguire lo studio (da parte di autorità regolatorie, comitati etici o altri organismi),
- le spese attinenti attività di natura meramente burocratica o assimilabili ai “lavori amministrativi e legali necessari per richiedere brevetti e licenze” (anche il Manuale di Frascati annovera la fattispecie tra le attività escluse dalla R&S nell’elencazione delle attività border line),
- i corrispettivi richiesti dalle autorità preposte per l’esame della richiesta di commercializzazione di nuovi prodotti o per permettere la prosecuzione della vendita degli stessi nei singoli stati dell’Unione europea o extra-europei (“fees”),
- gli oneri riconducibili ad adempimenti amministrativi.