Ricostruzione presuntiva dei ricavi e presunzioni qualificate
di Luigi FerrajoliCon l’interessante sentenza n. 1119 del 18.01.2017 la Corte di Cassazione ha precisato che affinché operi il meccanismo stabilito dall’articolo 2729 cod. civ., secondo cui “le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”, il fatto certo storico legittimante il procedimento logico–induttivo non deve consistere in un elemento di carattere valutativo bensì in un evento naturalistico non controverso.
Nella vicenda oggetto della pronuncia in esame una società era stata destinataria di un avviso di accertamento, emesso a seguito di un processo verbale di constatazione, con il quale era stata contestata la mancata contabilizzazione di ricavi emersi in conseguenza dell’oggettiva incompletezza delle fatture; in particolare era stata sottolineata l’omessa consegna, da parte della società contribuente, delle schede tecniche di lavorazione e dei listini prezzi.
La società proponeva ricorso avverso il predetto avviso da cui erano emersi che però veniva respinto in primo grado; contro il rigetto della CTP la società proponeva appello dinanzi alla CTR che accoglieva parzialmente i motivi evidenziati dal ricorrente ed annullava la rettifica relativa all’omessa contabilizzazione dei ricavi.
L’Agenzia delle Entrate presentava, quindi, ricorso in Cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 32 e 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. 600/1973 nonché degli articoli 2679 e 2729 cod. civ. dettati in materia di presunzioni.
La Suprema Corte ha tuttavia respinto il ricorso, dichiarando l’infondatezza dei motivi sopra indicati ed evidenziando come, invece, la CTR si fosse uniformata ai principi vigenti in tema di accertamenti analitico-induttivi.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha in primo luogo precisato che l’Agenzia aveva effettuato l’accertamento con metodo analitico-induttivo con riferimento alla “ritenuta incompletezza delle fatture emesse dalla società, adducendo che le stesse fossero prive di precisa indicazione del prezzo dei macchinari e delle ore di manodopera cedute”.
In secondo luogo, richiamando un orientamento giurisprudenziale già espresso, la Corte ha ribadito che “è principio consolidato quello per cui l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39 comma 1 lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, poiché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (Cass. n. 13068/11)”.
Tuttavia, sebbene da un lato la Cassazione non abbia sollevato dubbi sulla legittimità formale dell’accertamento induttivo svolto, dall’altro, sulla base delle osservazioni esposte dalla CTR, la medesima Corte di legittimità ha evidenziato che l’accertamento induttivo svolto nel caso specifico “non è fondato su fatti storici certi da cui derivarne determinate conseguenze – quali per l’appunto l’omessa dichiarazione dei maggiori ricavi – per cui l’argomentazione presuntiva richiamata dall’Agenzia delle Entrate non può dirsi efficace”.
A tal proposito la Cassazione ha chiarito che il meccanismo tipico delle presunzioni, su cui si fonda anche l’accertamento induttivo, presuppone la piena certezza del fatto che viene assunto quale premessa maggiore, da cui se ne trae mediante un’argomentazione logica, l’accertamento del fatto ignoto. Ne ha dedotto quindi che la nozione di certezza va intesa non solo nella “sua materialità ma anche alludendosi all’inoppugnabilità della sua valutazione”.
La Corte ha quindi affermato che affinché sia possibile applicare quanto previsto dall’articolo 2729 cod. civ. il fatto certo storico legittimante il procedimento logico–induttivo non deve consistere in un elemento di carattere valutativo bensì un evento naturalistico non controverso.
Pertanto la Corte ha concluso dando rilevanza al fatto che, nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria aveva espresso una mera valutazione relativamente ai costi di manodopera, che non poteva costituire di per sé il dato certo e oggettivo legittimante l’accertamento analitico-induttivo; ciò ha quindi giustificato la diversa interpretazione sviluppata dalla CTR che aveva legittimante respinto le argomentazioni dell’Agenzia delle Entrate.
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