Riflessi Iva dell’equiparazione del leasing alla cessione
di Marco PeiroloLa Corte di giustizia, nella recente pronuncia relativa alla causa C-277/14/2015, ha ribadito che, ai fini Iva, la nozione di “cessione di beni”, ex articolo 14, par. 1, Direttiva n. 2006/112/CE, non presuppone il trasferimento della proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale, ma il trasferimento di un bene mobile materiale da parte di un soggetto che autorizza il destinatario a disporne di fatto come se ne fosse il proprietario (punto 44).
Questo principio ha numerosi riflessi nell’ambito del tributo sul valore aggiunto.
Rispetto al caso esaminato, riguardante la detraibilità dell’Iva assolta in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, esso implica che la detrazione possa essere regolarmente esercitata dall’operatore che non abbia potuto acquisire la proprietà del bene, siccome la controparte è un soggetto non esistente. Sempreché il cessionario sia in buonafede, la detrazione presuppone, infatti, che il bene acquistato sia utilizzato per effettuare operazioni imponibili o ad esse assimilate, per cui i giudici comunitari hanno affermato che l’operazione si configura come una cessione se, come nella fattispecie, il cessionario ha avuto la disponibilità dei beni e li ha utilizzati nello svolgimento della propria attività.
La detrazione, dunque, è condizionata dall’inerenza, intesa – ai sensi dell’articolo 168 della Direttiva n. 2006/112/CE – come impiego dei beni/servizi acquistati a monte per effettuare, a valle, operazioni soggette ad imposta. Ed è proprio per questa ragione che si ha un’ulteriore conferma dell’opinabilità dell’indicazione contenuta nella R.M. n. 529/D/1989, ove si afferma che l’Iva all’importazione può essere detratta anche nell’ipotesi della rappresentanza indiretta, vale a dire dal soggetto considerato importatore, pur facendo la dichiarazione in dogana a nome proprio, ma per conto del destinatario effettivo dei beni. Del resto, come già messo in luce nella sentenza di cui alla causa C-187/14/2015, ai fini della detrazione, i beni importati devono essere utilizzati, a valle, nell’ambito delle operazioni imponibili tipiche del soggetto passivo e questa condizione, di regola, non si verifica in capo al rappresentante.
La rilevanza del potere di disposizione sostanziale sul bene anche in assenza della titolarità giuridica formale dello stesso è stata riconosciuta dalla giurisprudenza nazionale nell’ipotesi della locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti (Corte di Cassazione, n. 23329/13 e n. 22172/2013).
Affinché la locazione sia assimilabile alla cessione è indispensabile, come si evince dall’articolo 2, secondo, n. 2), D.P.R. 633/1972, che l’effetto traslativo della proprietà sia previsto, in sede contrattuale, come clausola vincolante per entrambe le parti. Solo in questa ipotesi, infatti, può considerarsi identica la finalità che caratterizza, rispettivamente, la vendita con effetti differiti e la locazione con clausola di trasferimento della proprietà alla scadenza del contratto.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto che, a determinati fini, anche il leasing possa essere equiparato alla cessione, pur in assenza della clausola di trasferimento della proprietà al termine del rapporto.
Nella sentenza n. 20951/2015, è stato affermato che l’utilizzatore di un bene ammortizzabile può chiedere il rimborso dell’Iva pagata sui canoni di locazione anche anteriormente al riscatto, nonostante l’articolo 30, terzo comma, lett. c), D.P.R. 633/1972, limiti il diritto di rimborso all’imposta assolta per l’acquisto di beni ammortizzabili.
Secondo i giudici di legittimità, la funzione del leasing, nella maggioranza dei casi – cioè nella sua tipizzazione sociale – è proprio quella di fornire all’utilizzatore la disponibilità economica (con i connessi rischi) del bene oggetto del contratto in modo analogo ad un proprietario. Nell’interpretazione della norma nazionale deve allora assumersi, come criterio dominante, la ratio desumibile dall’articolo 14, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, improntata a criteri di effettività e di prevalenza della sostanza sulla forma.
Ne consegue che l’acquisizione del bene in leasing da parte del locatario, il quale dispone materialmente, analogamente al proprietario, del bene e se ne assume i rischi, deve pertanto ritenersi equiparato, agli effetti dell’Iva, all’acquisto derivante dalla cessione. È chiaro, pertanto, che la finalità della citata disposizione comunitaria, intesa a qualificare l’operazione alla stregua di una cessione di beni, fa emergere una lacuna nella normativa italiana, che non regola espressamente l’ipotesi del leasing ai fini del diritto di rimborso dell’Iva versata sui canoni di locazione finanziaria dei beni ammortizzabili.
In difformità con le conclusioni della Suprema Corte, l’Amministrazione finanziaria, dopo avere precisato che nella locuzione “acquisto”, di cui al richiamato articolo 30, terzo comma, lett. c), D.P.R. 633/1972, va compreso ogni atto che faccia acquisire la disponibilità del bene (R.M. n. 353998/1983), ha escluso che l’utilizzatore possa chiedere la restituzione dell’imposta, che resta ammessa esclusivamente nei confronti del soggetto giuridicamente proprietario del bene ammortizzabile (Risoluzione n. 122/E/2011).
In linea con questa impostazione, la prassi amministrativa ha negato il rimborso dell’imposta assolta sull’acconto del corrispettivo pagato in sede di contratto preliminare di compravendita (Risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 179/E/2005, § 2), confermando il diniego anche rispetto all’IVA relativa alle spese di miglioramento, trasformazione e ampliamento di beni di proprietà altrui, concessi in uso o comodato.
Quest’ultima indicazione è stata, invece, disattesa dalla Corte di Cassazione. Con l’ordinanza n. 1859/2014, è stato, infatti, ritenuto che il comodatario può chiedere il rimborso dell’imposta relativa alle spese di ristrutturazione dell’immobile di proprietà del comodante, ove sostenute in vista dell’attività d’impresa del comodatario, soggetta ad Iva.