Riforma del processo tributario: divieto di produrre nuovi documenti in appello
di Angelo GinexLa L. 111/2023 per la riforma fiscale prevede, tra le altre novità, un’articolata serie di interventi in tema di processo tributario. In particolare, l’articolo 19, nella numerazione risultante dai lavori del Senato, ha introdotto nel testo originario dell’articolo 17 del Disegno di Legge inizialmente approvato dalla Camera, molteplici previsioni normative che ne hanno significativamente ampliato l’impianto iniziale.
L’obiettivo che il Legislatore intende perseguire con la disposizione citata, così come del resto con l’intera legge delega, è quello di ridisegnare, anche in sede processuale, i rapporti tra Fisco e contribuente in nome di una maggiore trasparenza e, soprattutto, di un rinnovato equilibrio tra le parti.
Con riserva di soffermarsi soltanto sul profilo che interessa il presente contributo, si porta l’attenzione sul criterio di cui alla lettera d) del citato articolo 19, ovverosia sul “rafforzamento” del divieto di produrre nuova documentazione nei gradi di giudizio successivi al primo.
Si deve innanzitutto premettere che, allo stato attuale, l’articolo 58, D.Lgs. 546/1992, fissa un criterio di segno opposto in quanto fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti. A tal proposito, infatti, l’interpretazione giurisprudenziale (Cassazione n. 232/2009), è consolidata nel ritenere espressamente prevista, nonché autorizzata, la produzione di nuovi documenti in appello “senza limiti”, sicché qualunque documento può essere sempre liberamente depositato, ancorché preesistente al giudizio di primo grado.
In realtà, dovendo essere precisi, l’unico limite posto al principio di cui al predetto articolo 58, è rappresentato dall’articolo 32, comma 1, D.Lgs. 546/1992, il quale prevede una mera limitazione di carattere temporale, e cioè la possibilità di depositare documenti fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’articolo 24, comma 1, D.Lgs. 546/1992.
Dunque, a ben vedere, appare quasi imprudente la scelta di affidare, al Legislatore delegato, il compito di “rafforzare” un divieto di nuova produzione documentale nei gradi processuali successivi al primo, attualmente in realtà inesistente. Per questo, si deve dedurre che sarebbe stato forse più opportuno parlare di “introdurre” un nuovo divieto, in quanto non vi è alcun dubbio sul fatto che attualmente non esista e che, dunque, il Legislatore dovrà provvedere ad inserirlo ex novo.
Ad ogni buon conto, con l’entrata in vigore dei decreti attuativi della delega, laddove venisse confermata la previsione attuale, non sarà più possibile, per le parti, introdurre nuovi documenti in appello, con la conseguenza che, se un documento non è stato prodotto in primo grado, non potrà essere utilizzato per la prima volta nei gradi successivi.
Detto ciò, ci si deve allora porre un problema conseguente, ovverosia se il Legislatore della riforma introdurrà un divieto tout court di produrre nuovi documenti in appello, oppure se lo potrà temperare prevedendo che esso ammetta talune eccezioni, così come le soffre nel processo civile e amministrativo.
Infatti, l’articolo 345 c.p.c. consente la produzione di documenti nuovi in appello a condizione che “la parte dimostri di non aver potuto […] produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”, mentre l’articolo 104 c.p.a. lo consente se “il Collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero […] la parte dimostri di non aver […] potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.
Quindi, si pone il problema di stabilire se un simile meccanismo possa ritenersi adeguato anche al modello processuale tributario. Ad oggi, la soluzione offerta dal Legislatore sembrerebbe essere positiva, avendo previsto che sono eccezioni al divieto di produrre nuovi documenti in appello, il fatto che il giudice li ritenga indispensabili ai fini della decisione, ovvero la parte dimostri di non aver potuto produrli in primo grado per causa a sé non imputabile.
Dunque, lato contribuente, occorrerà prestare particolare attenzione alle prove e ai documenti da produrre sin dal giudizio di primo grado, in quanto, se è vero che, secondo l’impostazione tradizionale, anche il processo tributario si connota quale processo dispositivo con metodo acquisitivo, dall’altro, oggetto di prova sono, di norma, circostanze che riguardano il contribuente e di cui questi è a piena conoscenza.
Non a caso, fino alle recenti modifiche apportate con L. 130/2022, l’onere probatorio veniva ripartito in virtù del principio di vicinanza della prova, con l’intento di farlo ricadere proprio sul contribuente, in quanto soggetto per il quale l’assolvimento di tale onere risultava più facile, avendo presumibilmente la piena disponibilità delle prove necessarie ai fini dell’istruzione della causa.
Alla luce di tali considerazioni, quindi, il contribuente non dovrebbe incontrare difficoltà nell’assolvere ai propri obblighi e non pare irragionevole ritenere che, in nome di esigenze di celerità della soluzione delle questioni tributarie, nonché di economicità processuale, tali prove siano allegate sin dal giudizio di primo grado, fermo restando le eccezioni sopra evidenziate.