Riforma del terzo settore: i chiarimenti del CNDCEC
di Guido MartinelliIl Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (CNDCEC) ha diramato la circolare “Riforma del Terzo settore: elementi professionali” frutto del lavoro congiunto tra l’apposito gruppo di lavoro attivato all’interno e un qualificato gruppo di esperti esterni.
Il lavoro si propone l’obiettivo di “fornire una serie di approfondimenti e linee guida” per “promuovere ed arricchire il confronto sull’analisi dei testi di legge … la circolare costituisce un primo passo verso la presentazione di una serie di proposte per i decreti correttivi la cui emanazione è prevista dalla legge delega …”. In questa chiave mi permetterò di sollevare anch’io qualche dubbio sul quale chiedere una risposta ufficiale.
La circolare analizza tutti gli aspetti di rilievo della nuova disciplina, sia civilistica che fiscale, degli enti del terzo settore, ivi compresi quelli tipizzati (organizzazioni di volontariato, di promozione sociale, imprese sociali, enti filantropici, società di mutuo soccorso e reti associative) e le novità in materia di cinque per mille.
Viene ribadito che la disciplina del codice del terzo settore dovrà essere letta in parallelo con quella del codice civile, per le problematiche costitutive e gestionali, dovendosi rintracciare all’interno di quest’ultimo le parti non disciplinate dal decreto legislativo 117/2017, portante la riforma in esame.
Si prende atto che numerose saranno le associazioni che per scelta o per impossibilità giuridica, rimarranno estranee alla riforma (“ne consegue la prevedibile permanenza di un settore non profit assai vasto e variegato anche al di fuori della nuova disciplina del terzo settore”). Viene, in maniera del tutto condivisibile, chiarito il ruolo delle sportive confermando che queste, pur svolgendo un’attività rientrante tra quelle di interesse generale sulla base di quanto dispone il testo normativo, potranno continuare ad applicare “l’attuale e specifica disciplina in tema di associazioni e società sportive dilettantistiche” che non viene in alcun modo modificata dalla nuova disciplina.
Questo non significa che esista una incompatibilità tra l’iscrizione nel Registro del Terzo Settore e quello del CONI, “si ritiene che l’ente sportivo che opta per l’iscrizione nel registro non perda la possibilità di fruire dei benefici accordati agli enti iscritti anche al registro CONI sopra richiamati, salvo rinunciare … al regime forfetario di cui alla L. 398/1991”. A prescindere che basterebbe anche solo questa affermazione per raffreddare fortemente l’afflusso delle sportive verso il nuovo Registro del Terzo Settore, a modesto avviso di chi scrive, le perdite di discipline agevolative sarebbero ben maggiori mettendo in discussione, con l’acquisizione della natura da parte delle sportive di ente del terzo settore, sia la possibilità di applicare l’articolo 148 Tuir (gli enti iscritti sia al registro CONI che a quello del terzo settore, non avendo tipizzato la riforma le sportive, sarebbero classificabili solo come enti del terzo settore e pertanto soggetti non più ricompresi nella novella di detto articolo operata dalla riforma) che l’articolo 67, primo comma, lett. m) del Tuir, i c.d. compensi sportivi, dovendo i lavoratori del terzo settore operare in condizioni normative non inferiori rispetto a quelle previste dai CCNL. Pertanto, difficilmente potrebbe essere accettato un rapporto di lavoro, quale quello speciale previsto per le sportive, che non offra copertura previdenziale e assicurativa.
Rimangono dubbi insiti nel testo legislativo che, ovviamente, l’interprete non poteva far emergere se non con soluzioni dubitative o rimandando agli emanandi decreti e circolari amministrative.
Mi riferisco, ad esempio, alla fattispecie di perdite del patrimonio per oltre un terzo, per gli ETS dotati di personalità giuridica, prevista all’articolo 22 del CTS. La disciplina è chiara (anche se rimane il problema di come calcolare detta perdita per enti, che la circolare definisce “piccoli” che potrebbero anche tenere, sotto la soglia prevista, un rendiconto per cassa) ma rimane il dubbio del momento in cui, causa la perdita, l’ente perde la personalità giuridica. La logica porta ritenere che questo avvenga nel momento in cui l’assemblea, convocata “senza indugio”, rinuncia a ricostituire il capitale e determina di proseguire come non riconosciuta. Ma se in questa stessa assemblea si sarà provveduto a mettere in liquidazione l’ente, possibilità comunque prevista dalla norma, come viene garantito il terzo creditore dell’ente?
Viene indicato che, salvo per le associazioni di promozione sociale (per le quali vige l’espresso previsione di cui all’articolo 35 comma 2 del CTS), “non è previsto divieto esplicito di cessione delle quote associative”. Non posso che continuare a chiedermi, in una associazione, cosa significhi “cessione della quota associativa” e, più che altro, come si disciplini e cosa costituisce.
Non viene indicato (e sarebbe opportuno che il legislatore lo facesse) se le attività di raccolta fondi con modalità non commerciali svolte in via continuativa, nel caso in cui si concretizzassero in prestazioni di servizi o cessioni di beni, possano godere o meno della esclusione da Iva in quanto ne vengono espressamente esentate, dall’articolo 89, comma 18, solo quelle “occasionali” di cui all’articolo 79, comma 4.
Nulla viene detto su cosa accade se, nelle ODV o nelle APS, per le quali è previsto un numero minimo di associati, questo si riduca al di sotto di tale limite durante l’esercizio sociale. Analogamente per detti enti la possibilità di avvalersi di collaboratori retribuiti è proporzionata al numero dei volontari. Ma se questi si riducono dovrò / potrò licenziare i dipendenti?
Come si vede, nonostante il lodevole impegno della circolare importanti e non trascurabili aspetti interpretativi rimangono oscuri. È auspicabile che quanto prima siano definiti.