Rilevanza delle dichiarazioni rese da soggetti terzi e onere della prova
di Marco BargagliNell’ambito di un ordinario controllo, possono essere attivati specifici controlli di coerenza esterna, al fine di acquisire una serie di dati e notizie presso i clienti e fornitori del contribuente sottoposto a verifica fiscale.
Il riscontro di coerenza esterna (Cfr. circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume 1, pagina n. 175) consiste nel confronto fra le risultanze dell’impianto contabile del soggetto ispezionato con ogni genere di dato e risultanza (materiale, fattuale, documentale e/o contabile), acquisita all’ispezione esternamente all’attività economica risultante, ad esempio:
- dall’interrogazione delle varie banche dati disponibili, ovvero presso Enti o Uffici pubblici o pubblici ufficiali, oppure, ancora, per effetto di attività di verificazione o rilevazione svolte in contesti esterni;
- dai “controlli incrociati” svolti nei confronti di altri soggetti che hanno intrattenuto rapporti di interesse fiscale con il soggetto ispezionato, ai quali potranno essere formulate specifiche richieste nell’ambito dei poteri attribuiti agli uffici finanziari.
Infatti, come espressamente previsto dal citato documento di prassi, le informazioni acquisite anche da soggetti terzi rivestono fondamentale importanza, tenuto conto che la ricostruzione della effettiva e reale posizione fiscale del contribuente interessato, dal punto di vista sostanziale, non può prescindere dalla ricerca anche di elementi di conferma “esterni” rispetto a quanto rilevato nell’ambito della realtà economica esaminata.
Sul tema della utilizzabilità dei dati e notizie acquisite presso soggetti terzi, è recentemente intervenuta la suprema Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 25291 pubblicata in data 25 ottobre 2017.
Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, con la quale il giudice di secondo grado aveva accolto l’appello proposto dal contribuente. La controversia in rassegna scaturiva in seguito ad una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza, nel corso della quale era stata constatata l’annotazione in contabilità di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
In particolare, il giudice del gravame riteneva illegittime le riprese a tassazione contenute nell’atto di accertamento, sulla base del fatto che le dichiarazioni rese da terzi nei confronti dei militari verbalizzanti, non riscontrate da ulteriori controlli, in ordine all’esistenza delle giacenze di magazzino ed alle operazioni di trasporto della merce acquistata dalle ditte fornitrici, mostravano “elementi di equivocità” non potendo assurgere a presunzioni aventi valore probatorio.
Di contro, gli ermellini hanno accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, rilevando che le dichiarazioni rese da parte di soggetti terzi risultano pienamente utilizzabili nel processo tributario, come indizi posti alla base della pretesa erariale.
Nello specifico, i supremi giudici hanno affermato i seguenti principi di diritto:
- le dichiarazioni rese da terzi nel corso della procedura di accertamento sono utilizzabili nel contenzioso tributario, pur caratterizzato dal divieto di prova testimoniale, quali indizi a supporto della pretesa dell’ufficio e la presunzione che ne deriva ha valore autonomo di prova della pretesa fiscale, senza necessità di riscontri documentali “se fondata, con criterio probabilistico e non di assoluta necessità su indizi che, valutati singolarmente e nel complesso delle acquisizioni processuali siano ritenuti dal giudice di merito gravi, precisi e concordanti, con giudizio non suscettibile di riesame in sede di legittimità se congruamente motivato”;
- tale presunzione legale sposta sul contribuente l’onere di fornire idonea prova contraria.
Quindi, il giudice di merito può liberamente trarre il suo convincimento anche dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari considerati mentre, nel caso oggetto della sentenza, la Commissione Tributaria Regionale non ha esplicitato l’iter logico seguito individuando compiutamente le ragioni per le quali va esclusa l’inferenza probabilistica di una serie di elementi indiziari, specificatamente evidenziati nel processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza.
In definitiva spetta al giudice di merito esaminare e giudicare, in presenza di un quadro indiziario caratterizzato dai requisiti di gravità, precisione concordanza, se il contribuente abbia fornito prove sufficienti idonee a superare la presunzione legale relativa scaturita da tali indizi, tenendo presente che l’onere di provare l’inesistenza del fatto costitutivo della pretesa fiscale (rectius la natura fittizia delle operazioni commerciali) grava, per effetto della citata presunzione, sul medesimo contribuente.