Rimanenze di beni infungibili e (s)valutazione ai fini fiscali
di Fabio LanduzziUna recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10773/2023) ha riportato all’attenzione dei professionisti un’annosa e dibattuta questione inerente la valutazione delle giacenze di magazzino di beni c.d. infungibili; è infatti noto il criterio civilistico basato sull’iscrizione delle rimanenze al minore fra il valore di realizzazione desumibile dal mercato ed il costo di acquisto o di produzione dei beni, mentre non altrettanto risolto è il tema della rilevanza ai fini della determinazione del reddito imponibile della svalutazione di tali beni a fine esercizio in caso di allineamento del loro valore al dato indicato dall’articolo 92, comma 5, Tuir, ossia al “valore normale medio” dei beni rilevato “nell’ultimo mese dell’esercizio”.
La Norma di comportamento n. 168 di AIDC, proprio con riguardo al rapporto fra il costo storico specifico dei beni infungibili in rimanenza ed il loro “valore normale” di mercato, prende posizione nel senso di non ritenere che il fatto che nell’articolo 92, comma 5, primo periodo, del Tuir, manchi un esplicito richiamo ai beni valutati a costo specifico, possa per sé essere tale da precludere per detti beni la facoltà di assumere come rilevante valore fiscale dei beni infungibili in rimanenza proprio il minore tra i due suddetti importi, rimanendo così fedeli anche in ambito fiscale al criterio di valutazione indicato dal Codice civile (articolo 2426, n. 9, cod. civ.) e dai principi contabili (OIC 13, par. 40).




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