30 Giugno 2023

Rimanenze di beni infungibili e (s)valutazione ai fini fiscali

di Fabio Landuzzi
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La scheda di FISCOPRATICO

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10773/2023) ha riportato all’attenzione dei professionisti un’annosa e dibattuta questione inerente la valutazione delle giacenze di magazzino di beni c.d. infungibili; è infatti noto il criterio civilistico basato sull’iscrizione delle rimanenze al minore fra il valore di realizzazione desumibile dal mercato ed il costo di acquisto o di produzione dei beni, mentre non altrettanto risolto è il tema della rilevanza ai fini della determinazione del reddito imponibile della svalutazione di tali beni a fine esercizio in caso di allineamento del loro valore al dato indicato dall’articolo 92, comma 5, Tuir, ossia al valore normale medio” dei beni rilevato “nell’ultimo mese dell’esercizio”.

La Norma di comportamento n. 168 di AIDC, proprio con riguardo al rapporto fra il costo storico specifico dei beni infungibili in rimanenza ed il loro “valore normale” di mercato, prende posizione nel senso di non ritenere che il fatto che nell’articolo 92, comma 5, primo periodo, del Tuir, manchi un esplicito richiamo ai beni valutati a costo specifico, possa per sé essere tale da precludere per detti beni la facoltà di assumere come rilevante valore fiscale dei beni infungibili in rimanenza proprio il minore tra i due suddetti importi, rimanendo così fedeli anche in ambito fiscale al criterio di valutazione indicato dal Codice civile (articolo 2426, n. 9, cod. civ.) e dai principi contabili (OIC 13, par. 40).

Di diverso avviso l’Amministrazione Finanziaria (si veda la risoluzione 78/E/2013 e poi la circolare  10/E/2014), secondo cui le svalutazioni delle rimanenze valutate a costo specifico non sarebbero fiscalmente rilevanti, dando a tale riguardo un peso decisivo proprio al fatto che il comma 5 dell’articolo 92 non richiama i beni valutati appunto a costi specifici; secondo l’Amministrazione, quindi, solamente i beni fungibili valutati con criteri diversi dal costo specifico potrebbero essere iscritti al minore valore normale sopra indicato, attribuendo a questo minore valore una rilevanza anche fiscale.

La Cassazione è quindi ora tornata sulla questione affrontando un accertamento risalente al 2009 e riferito proprio al caso di una società che, stando alla lettura del documento, aveva rilevato e dedotto nel periodo d’imposta 2009 una minusvalenza da valutazione di un immobile-merce, il tipico bene infungibile, poi venduto nell’anno 2011.

Secondo la sentenza in commento la svalutazione non poteva invece essere dedotta nell’anno 2009 in quanto solo con riguardo ai beni raggruppabili in categorie omogenee (i beni fungibili), il comma 5 dell’articolo 93 consentirebbe anche la valutazione al valore normale, ed inoltre quando questa è inferiore a quanto risultante dall’applicazione dei metodi di cui ai commi da 2 a 4 (i.e. costo medio ponderato, Lifo, Fifo, ecc.).

Per i beni infungibili, ovvero quelli che non sono raggruppabili in categorie omogenee, varrebbe invece in ambito fiscale solo il criterio del costo specifico.

La Cassazione compie peraltro una disamina proprio delle argomentazioni sostenute nella Norma di comportamento AIDC che, pur ritenendo “pregevole”, ritiene non condivisibile nel presupposto che, diversamente da quanto sostenuto nella Norma stessa, il sistema di valutazione delle rimanenze nella disciplina fiscale sarebbe “di per sè autosufficiente e “impermeabile alle regole civilistiche, eccezion fatta per l’ipotesi, espressamente prevista e perciò inestensibile analogicamente, della (limitata) rilevanza del valore normale in relazione esclusivamente ai beni raggruppabili in categorie omogenee”.

Conclude quindi la Cassazione affermando il principio di diritto secondo il quale “in tema di valutazione delle rimanenze in chiusura d’esercizio, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, il criterio del minore fra il valore di mercato o di possibile realizzo ed il costo specifico (quale costo di acquisto o di produzione), di cui all’articolo 92, comma 5, Tuir, non può essere applicato a beni diversi da quelli raggruppabili in categorie omogenee per natura e per valore ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, con particolare riguardo ai beni valorizzati a costi specifici“.