3 Ottobre 2023

Rimborsabile l’Iva per la realizzazione della cantina sull’immobile in comunione “pro indiviso”

di Luigi Scappini
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La scheda di FISCOPRATICO

Recentemente la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21077/2023, ha affermato il principio di diritto per cui “In tema di Iva, l’esecuzione, da parte del titolare del diritto di proprietà “pro indiviso”, di opere di ristrutturazione e manutenzione su un bene destinato all’esercizio dell’attività di impresa al medesimo riferibile, dà diritto al rimborso per l’intero (a prescindere cioè dall’entità della quota) dell’eccedenza detraibile d’imposta di cui all’art. 30, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 633 del 1972 (“ratione temporis” vigente), a condizione che sussista un nesso di strumentalità del bene con l’attività di impresa”.

La controversia era nata per effetto di un diniego al rimborso Iva da parte dell’Agenzia delle entrate nei confronti di una contribuente esercente l’attività agricola di viticoltura e di altre attività connesse, consistenti nell’agriturismo e nella produzione di energia da fonti rinnovabili.

Il diniego nasceva dalla circostanza che l’Iva richiesta a rimborso riguardava alcune spese sostenute su beni appartenenti in parti uguali e pro indiviso alla titolare dell’impresa individuale e ad altra persona.

La Corte di Cassazione, riprendendo la precedente sentenza n. 24779/2015, ricorda che il rimborso dell’eccedenza Iva, previsto dall’articolo 30, comma 3, lettera c), D.P.R. 633/1972, deve concernere beni che – oltre a costituire immobilizzazioni materiali e immateriali (e in quanto tali beni ammortizzabili) – devono soddisfare il requisito della strumentalità, poiché destinati all’utilizzo nell’impresa e non idonei alla produzione di un reddito in via indipendente. A tal fine, il titolare dell’impresa deve poter disporre dei beni in forza, alternativamente, di un diritto di proprietà o di un altro diritto reale di godimento.

Ne deriva che, per poter ottenere il rimborso, è necessaria la titolarità esclusiva del diritto di proprietà che l’articolo 832 cod. civ., definisce quale “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.” In altri termini, è necessario poter esercitare un pieno potere di disposizione, consistente nel governo del bene, in modo tale da poterne assicurare la fruibilità in funzione dell’attività esercitata dall’impresa.

In ragione di quanto sin qui detto, è necessario, nel caso di bene posseduto in comunione “pro indiviso”, comprendere l’effettivo utilizzo che è possibile fare, al fine di stabilire l’effettiva strumentalità o meno dello stesso.

L’articolo 1102 cod. civ., prevede che “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.”; tuttavia, “Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.”.

Il dettato civilistico ammette, quindi, la possibilità di utilizzo, da parte di uno dei proprietari, del bene posseduto “pro indivisoa condizione, tuttavia, che non ne venga alterata la destinazione o negata la fruizione anche agli altri; anzi, a ben vedere, è concessa, come nel caso oggetto del contenzioso, la facoltà di intervenire, a proprie spese, per migliorarne la fruizione.

A tal fine, infatti, devono essere letti gli interventi atti alla realizzazione di una cantina e all’acquisto di materiali tecnici e strumenti per la vinificazione da parte di un imprenditore viticolo.

E, la circostanza per cui il bene non è posseduto integralmente, non può, come sostenuto dall’Agenzia delle entrate, portare a una conseguente limitazione percentuale del rimborso dell’Iva assolta sulle spese sostenute, infatti, l’articolo 1101 cod. civ., afferma che “Il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione, è in proporzione delle rispettive quote”.

In altri termini, il codice civile stabilisce che le quote dei comunisti, che si considerano in parti uguali, salvo diverse disposizioni, rilevano al solo fine di far partecipare proporzionalmente ai vantaggi nonché ai pesi derivanti dalla comunione.