Rimborso Iva ammesso per i soggetti non residenti con rappresentante fiscale
di Giovanni Valcarenghi
La Corte di giustizia, con la sentenza del 6 febbraio 2012, relativa alla causa C-323/12, ha affermato che un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro, che abbia effettuato cessioni di beni territorialmente rilevanti in un altro Stato membro, ivi soggette a reverse charge, ha il diritto di ottenere il rimborso “diretto” dell’IVA anche se identificato, per mezzo di un rappresentante fiscale, in tale ultimo Stato.
La controversia è insorta dopo che ad una società tedesca è stato negato il rimborso dell’IVA assolta in Romania, ove la medesima effettua cessioni di energia elettrica a “soggetti passivi-rivenditori”, che gli artt. 38 e 195 della Direttiva n. 2006/112/CE considerano soggette a IVA – con applicazione del reverse charge – nel luogo in cui i “soggetti passivi-rivenditori” hanno fissato la sede della propria attività.
L’VIII Direttiva CEE (ora Direttiva n. 2008/9/CE) prevede due condizioni cumulative che devono essere soddisfatte affinché un soggetto passivo, per poter ottenere il rimborso, possa considerarsi non stabilito nello Stato membro in cui ha effettuato gli acquisti con imposta detraibile:
- da un lato, il soggetto passivo in questione non deve disporre di un centro di attività (stabile organizzazione dopo la “rifusione” della VI Direttiva nella Direttiva n. 2006/112/CE) nello Stato membro nel quale intende ottenere il rimborso;
- dall’altro, nel periodo di riferimento del rimborso, non deve avere effettuato cessioni di beni o prestazioni di servizi che si considerino localizzate in tale Stato membro, ad eccezione di talune prestazioni specifiche.
Riguardo alla prima condizione, la Corte UE afferma che il fatto che un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro sia identificato per mezzo di un rappresentante fiscale in un altro Stato membro non può essere equiparato all’acquisizione di un centro di attività in tale Stato membro. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza comunitaria, il centro di attività presuppone, infatti, un grado sufficiente di stabilità e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le operazioni del soggetto passivo.
La mera nomina di un rappresentante fiscale non è, pertanto, sufficiente a ritenere che il soggetto passivo in questione disponga di una struttura dotata di un sufficiente grado di stabilità e di un personale proprio incaricato della gestione della propria attività d’impresa.
Questa conclusione conferma l’illegittimità:
- sia della posizione della Corte di Cassazione in materia proprio di rimborso “diretto” ai soggetti non residenti, per la quale “è pacifico (…) che dall’attribuzione della partita IVA ad un soggetto che ne abbia fatto richiesta deriva, per ragioni di ordine logico-giuridico, la presunzione della esistenza di stabile organizzazione” (Cass., 30 novembre 2012, n. 21380);
- sia della cd. “web tax” (di cui al nuovo art. 17-bis del D.P.R. n. 633/1972), in quanto l’obbligo imposto ai soggetti non residenti di aprire una partita IVA in Italia per vendere la pubblicità on line ad imprese e professionisti presumerebbe l’esistenza di una stabile organizzazione.
Riguardo alla seconda condizione, come anticipato, il rimborso presuppone che, nel periodo di riferimento, il soggetto passivo non abbia effettuato cessioni di beni o prestazioni di servizi che si considerino localizzate nello Stato membro nel quale viene chiesta la restituzione dell’imposta.
Nel caso esaminato, il luogo impositivo delle cessioni di energia elettrica è quello in cui i “soggetti passivi-rivenditori” hanno fissato la sede della propria attività, sui quali ricade l’obbligo di pagare la relativa IVA in base al meccanismo del reverse charge.
Tali cessioni, benché territorialmente rilevanti nel Paese di rimborso, non precludono il diritto del soggetto non residente ad ottenere la restituzione dell’imposta dal momento che l’art. 171, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE esclude che il richiedente possa considerarsi “stabilito” in tale Paese ogni qual volta effettui esclusivamente operazioni attive soggette ad inversione contabile.
A questo proposito, la Corte UE vieta all’ordinamento giuridico nazionale di presumere che il soggetto non residente, ove identificato per mezzo del rappresentante fiscale, abbia realizzato cessioni di beni o prestazioni di servizi nel Stato di rimborso, diverse da quelle in reverse charge.
Anche questa conclusione ha riflessi nella legislazione IVA italiana, così come interpretata dall’Amministrazione finanziaria.
L’Agenzia delle Entrate, nell’ambito delle FAQ pubblicate sul proprio sito internet ed aggiornate al 12 luglio 2010, ha negato il rimborso IVA di cui all’art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972 se il richiedente di altro Paese membro è identificato in Italia direttamente o per mezzo del rappresentante fiscale. Come già evidenziato da Assonime nella circolare n. 29 del 24 settembre 2010, il rimborso può essere escluso solo quando il soggetto estero abbia utilizzato la posizione IVA italiana per effettuare operazioni territorialmente rilevanti diverse da quelle consentite.