I rimedi a disposizione del legittimario leso nei propri diritti
di Sergio PellegrinoNel precedente contributo abbiamo visto come l’ordinamento, attraverso la c.d. successione necessaria, intenda tutelare i parenti più prossimi del defunto, che hanno diritto a ricevere parte del patrimonio, a prescindere dalla volontà del congiunto.
Nel caso in cui il de cuius, contravvenendo a quanto previsto dal codice civile in materia di quota di legittima, con le proprie scelte – testamento o atti di disposizione precedenti – abbia pregiudicato i diritti dei legittimari, questi possono fare ricorso agli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento.
Qualora un legittimario sia pretermesso, e cioè venga escluso dall’eredità del familiare deceduto, può attivare la c.d. petitio hereditatis.
L’articolo 533 cod. civ. prevede infatti che «L’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi. L’azione è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni».
Il diritto può essere esercitato, tra l’altro, anche dall’erede testamentario che non abbia ottenuto il patrimonio a lui spettante sulla base delle previsioni contenute nel testamento: agisce quindi per “recuperarlo” nei confronti di chi lo detiene indebitamente.
L’erede legittimo, escluso invece dall’eredità sulla base delle decisioni del de cuius, attraverso la proposizione dell’azione di petizione di eredità chiede il riconoscimento del suo diritto a succedere a titolo di erede, con l’obiettivo di ottenere la restituzione di tutti o parte dei beni ereditari.
L’azione è imprescrittibile e richiede la dimostrazione da parte dell’attore della propria qualità di erede con ogni mezzo e la prova dell’appartenenza all’asse ereditario dei beni per i quali si chiede la restituzione.
Nel caso in cui i beni ereditati siano posseduti da più persone, l’azione deve essere evidentemente promossa nei confronti di ciascuno di essi.
Va precisato come le disposizioni con le quali il de cuius ha leso il diritto di legittima non sono nulle o annullabili, ma soggette all’azione di riduzione (per la quale vale l’ordinario termine di prescrizione decennale): il legittimario che subisce la lesione richiede quindi un provvedimento giudiziale che privi d’effetto le disposizioni in questione nella misura necessaria per reintegrare il proprio diritto.
Con l’azione di riduzione si mira quindi a ottenere la dichiarazione di inefficacia totale o parziale delle disposizioni testamentarie, delle donazioni e degli atti di disposizione, che eccedono la quota di cui il de cuius poteva disporre, ma poi deve essere attivata l’azione di restituzione: è questo lo strumento processuale che si deve utilizzare per ottenere appunto la restituzione dal beneficiario o dai terzi dei beni oggetto delle liberalità private di efficacia con l’azione di riduzione.
Laddove questi beni non possano essere più “recuperati” per causa imputabile all’avente causa, questi deve corrispondere all’eredità il valore che avrebbero avuto all’apertura della successione.
Per quanto concerne il funzionamento dell’azione di riduzione, relativamente all’ordine da seguire nell’“aggressione” delle disposizione, devono essere ridotte per prime le quote degli eredi legittimi, alla luce del fatto che il de cuius non ha espresso alcuna volontà a loro favore (a differenza di quanto avviene per le disposizioni testamentarie e le donazioni che seguono nell’ordine delle riduzioni).
Facciamo un esempio per comprendere il funzionamento, ipotizzando il caso di un soggetto che decede senza aver testato. Gli sopravvivono la madre e una sorella, che quindi sono gli eredi legittimi.
Il patrimonio ereditario ammonta a 1 milione di euro, ma in vita il de cuius aveva fatto donazioni per 1,7 milioni di euro.
Trattandosi di successione legittima, spetterebbe a ciascuno dei due eredi metà dell’eredità, e quindi mezzo milione di euro a ciascuno.
La madre del defunto, a differenza della sorella, è però legittimaria e avrebbe quindi diritto a 1/3 del patrimonio, considerando anche quanto oggetto di donazione (e non soltanto il patrimonio esistente al momento di apertura della successione).
L’ammontare che le spetterebbe sarebbe quindi di 900 mila euro (ossia 1/3 di relictum + donatum).
La madre, rispetto al mezzo milione che deriverebbe dalla successione legittima, potrebbe quindi pretendere altri 400 mila euro, che dovrebbe ottenere dalla riduzione della quota dell’altra erede legittima, vale a dire la sorella del defunto.
Per reintegrare la quota di legittima lesa, dopo le quote degli eredi legittimi, vanno ridotte le disposizioni testamentarie in modo proporzionale.
Qualora ciò non si riveli sufficiente, bisogna procedere con la riduzione delle donazioni fatte in vita dal de cuius sulla base di un criterio cronologico inverso, partendo cioè dall’ultima donazione e tornando indietro fino a quando non è reintegrata la legittima.
Infine, va ricordato che l’azione di riduzione non può essere oggetto di rinuncia da parte del soggetto interessato fino a quando non si apre la successione, perché ciò violerebbe il divieto di patti successori.
Una volta aperta la successione, invece, il legittimario può rinunciarvi, ma questo non determina alcuna conseguenza per gli altri legittimari, per i quali non vi è accrescimento della quota di legittima.