Riscossione coattiva dei tributi: il Decreto Fare non elimina tutte le criticità
di Massimiliano TasiniPatrizia PellegriniNon può certamente negarsi la buona volontà del legislatore che, nella consapevolezza dell’irrinunciabilità di un intervento forte e strutturato in tema di riscossione coattiva dei tributi in questo tempo lacerato da una congiuntura economica che fatica a cedere il passo alla ripresa, è fattivamente intervenuto con una serie di misure idonee a ripristinare il giusto equilibrio tra l’interesse dello Stato al recupero delle imposte e quello contrapposto del cittadino-contribuente alla sostenibilità del costo di quelle imposte.
In questo senso devono certamente interpretarsi le disposizioni che hanno escluso l’abitazione principale dal novero dei beni pignorabili a condizione che il contribuente vi risieda anagraficamente e non si tratti di abitazione di lusso, come pure l’elevazione a 120.000 euro del limite delle somme iscritte a ruolo necessario per procedere ad esecuzione forzata per le abitazioni non prima casa o di lusso, nell’uno e nell’altro caso, fatta salva la possibilità di iscrivere ipoteca per la tutela dei crediti erariali per l’ipotesi di esecuzione eventualmente avviata da terzi.
Ed ancora, l’introduzione di una soglia di impignorabilità pari ad 1/5 del loro valore, e solo se gli altri beni non sono sufficienti a soddisfare la pretesa creditoria, anche in relazione ai beni strumentali di imprese costituite in forma societaria e nei casi di prevalenza del capitale sul lavoro, nonché la previsione che il debitore ne sia obbligatoriamente nominato custode e che il primo incanto sia fissato dopo 300 giorni dal pignoramento, a salvaguardia dell’attività lavorativa, nell’ottica del tentativo di risanamento.
Di segno contrario, la possibilità per l’agente della riscossione di iscrivere garanzia ipotecaria anche quando non si siano verificate le condizioni per l’espropriazione al fine di assicurare il diritto di prelazione sul ricavato della vendita conseguente all’esproprio promosso da terzi e, nell’ipotesi del fallimento del debitore, uguale soddisfazione con prelazione sul ricavato.
E pur tuttavia, non tutte le criticità del sistema hanno trovato compiuta soluzione.
In tema di dilazione dei pagamenti viene disposto che la rateazione delle somme iscritte a ruolo, nei casi in cui il debitore si trovi, per ragioni estranee alla sua responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, può essere aumentata fino a 120 rate mensili. A tali fini, si intende per comprovata e grave situazione di difficoltà quella che si verifica al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni:
- accertata impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento del credito tributario secondo un piano di rateazione ordinario;
- valutazione della solvibilità del contribuente in relazione al piano di rateazione concedibile ai sensi del precedente comma.
Aspetti critici (1). La dilazione rimane applicabile alle sole somme iscritte a ruolo. Si è persa l’occasione di intervenire nel momento precedente, quello dell’emissione degli avvisi bonari, per i quali la norma oggi prevede 6 rate trimestrali per debiti fino a 5.000 euro, 20 rate trimestrali se il debito è superiore a 5.000 euro. In quella sede, l’omesso versamento può essere sanato con il versamento della sanzione ridotta del 10% in luogo di quella edittale del 30% che grava invece sul debito allorché viene trasferito in Equitalia.
Altresì, il contribuente, che aveva omesso il pagamento delle imposte alla scadenza originaria a motivo di illiquidità, potendo contare su un tempo più lungo per restituire il proprio debito, ovvierebbe all’ulteriore gravoso onere dell’aggio, moltiplicando la possibilità di adempimento regolare.
Ma così non è e, dunque, il contribuente che intendesse sanare l’omesso versamento nel termine di 30 giorni dal ricevimento dell’avviso bonario, potrà solamente usufruire di un massimo di 20 rate trimestrali e decadrà dalla rateazione qualora non riuscisse a perfezionare il pagamento della prima rata, oppure di una rata diversa dalla prima, entro il termine di pagamento di quella successiva.
Aspetti critici (2). Il nuovo accertamento esecutivo introdotto dall’art.29 del D.L. n.78/2010 obbliga il contribuente a versare le somme richieste entro 60 giorni dalla notifica, decorsi inutilmente i quali, nei successivi 30 giorni l’ufficio affida all’agente della riscossione l’esazione coattiva delle somme pretese. In detta ipotesi, si rende dovuto l’aggio, interamente a carico del contribuente ed altresì, le somme richieste sono maggiorate degli interessi di mora (art. 30 D.P.R. 602/1973) calcolati a partire dal giorno successivo alla notifica degli atti (art. 29, comma 1, lett. f) D.L. n.78/2010).
Poiché tra la notifica dell’atto ed il momento in cui lo stesso diviene esecutivo può intercorrere un tempo anche piuttosto lungo per effetto della presentazione di istanza di adesione o della sospensione feriale, è di immediata percezione l’ulteriore aggravio di costi che il contribuente finisce per subire suo malgrado nella sventurata ipotesi in cui l’oggettiva condizione di difficoltà gli precludesse la possibilità di adempiere nel termine dei 60 giorni.
Auspici. La norma rinvia ad un decreto da emanarsi per la definizione delle modalità di attuazione del meccanismo di rateazione descritto. L’auspicio è che non si complichino inutilmente gli adempimenti, disperdendo il vantaggio che l’intervento normativo ha inteso garantire al contribuente “agonizzante”.