Riserve da utilizzare secondo un “ordine” per la copertura delle perdite
di Fabio LanduzziLa sentenza della Corte di Cassazione n. 15087 del 12.05.2022, che segue di poco la precedente e corrispondente n. 14210/2022, offre l’occasione per rinfrescare la memoria sull’utilizzo delle riserve presenti nel bilancio d’esercizio ai fini della copertura delle perdite d’esercizio.
La vicenda trae spunto da un’eccepita violazione dell’articolo 2426, comma 1, n. 4, cod. civ., in tema di valutazione delle partecipazioni in imprese controllate con il metodo del patrimonio netto; il maggior valore derivante dall’applicazione di tale criterio era stato infatti imputato direttamente al conto economico di periodo, e non era invece stato iscritto nello stato patrimoniale in una riserva non distribuibile, con l’effetto che tale componente positivo si era confuso nel risultato economico di periodo andando infine a consentire l’emersione di un utile, in luogo di una perdita, e quindi consentire ai soci la distribuzione di dividendi.
Al di là della vicenda specifica, è rilevante il percorso logico che viene compiuto dalla Cassazione nell’affrontare i temi dell’utilizzo delle riserve ai fini della copertura delle perdite.
Quanto alle riserve, viene dapprima rammentato che qualora una riserva sia prevista dal legislatore come “non distribuibile”, se certamente se ne deve escludere appunto la distribuzione ai soci, vi è però da domandarsi se possa essere utilizzata al fine della riduzione delle perdite di esercizio.
A questo riguardo, ricorda la Cassazione che in dottrina ed in giurisprudenza si è affermato il principio della preventiva imputazione delle riserve alla perdita d’esercizio, altrimenti indicato con il termine di principio della “perdita netta”, tale per cui ai fini della verifica dell’impatto – ai sensi degli articoli 2446 e 2447 cod. civ. – della perdita sul capitale sociale, la prima deve essere assunta al netto delle riserve e delle poste di bilancio idonee a ridurla, prima di andare ad impattare sul capitale.
Non sussiste quindi l’obbligo, e neppure la facoltà, di ridurre il capitale per perdite qualora non esista neppure una perdita nel senso indicato, in quanto coperta da riserve presenti nel patrimonio netto.
Fatta questa premessa, e perciò dato per assodato che il capitale sociale è l’elemento preservato dal legislatore per le funzioni di tutela che l’ordinamento gli attribuisce, ne deriva la conferma del principio secondo cui esso può essere eliso dalle perdite solo dopo l’assorbimento delle riserve.
Il punto, ora, è quindi stabilire con quale ordine le riserve devono essere intaccate dalle perdite, e se esiste un ordine gerarchico da seguire in tale procedimento.
La Cassazione riconosce a questo proposito l’esistenza di criterio in forza del quale l’imputazione delle riserve deve seguire una progressione rigida: dalla riserva meno vincolata e più disponibile alla riserva più vincolata e, quindi, meno disponibile.
Viene ricordato che già la Cassazione, con sentenza n. 12347/1999, aveva affermato che le disponibilità della società devono essere intaccate secondo un ordine che tenga conto del grado di facilità con cui la società stessa potrebbe deliberarne la destinazione ai soci.
Al riguardo, il capitale sociale ha, dunque, “un grado di indisponibilità maggiore di quello relativo alle riserve legali, laddove le riserve statutarie e quelle facoltative create dall’assemblea sono liberamente disponibili”.
Pertanto, “debbono essere utilizzati, nell’ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale”.
Secondo la Suprema Corte le riserve sono destinate a costituire un presidio avanzato del capitale così che i “diversi strati” del patrimonio netto, essendo progressivamente più vincolati a garanzia dei creditori, possono e devono subire le decisioni dei soci di intaccarli nell’ordine progressivo sopra indicato, restando perciò preclusa ai soci la possibilità di far gravare le perdite sul netto meno vincolato, sino a quando esistono parti di netto meno vincolate o non vincolate.
Si tratta di principio posto a tutela di un interesse più generale, che è quello della protezione dell’affidamento che i terzi abbiano fatto sulla consistenza del capitale sociale, che, perciò, non può essere intaccato prima che siano state esaurite le altre voci del patrimonio stesso.
Viene quindi ribadito il principio secondo cui le riserve appostate nello stato patrimoniale di una società possono essere imputate a riduzione delle perdite secondo un ordine di progressiva minore disponibilità, da ultimo residuando, in tal caso secondo le maggioranze dell’assemblea straordinaria, l’operazione di riduzione del capitale sociale
Infine, quanto alla vicenda specifica, la Cassazione ha affermato che nell’ambito delle poste del patrimonio netto, la riserva da plusvalenza del valore delle controllate è utilizzabile a copertura delle perdite, tuttavia è necessario che, per la regola della graduazione delle voci iscritte al patrimonio netto, difettino in bilancio poste del netto più liberamente disponibili.
Essa potrà essere utilizzata per ridurre o eliminare le perdite soltanto dopo ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio, ma prima del capitale; in mancanza, si verificherebbe la “liberazione” della riserva dal suo status di maggiore tutela, prima che le altre riserve siano state utilizzate a tal fine, in dispregio della ratio della disposizione.