Ristretta base azionaria e presunzione di distribuzione degli utili
di Marco BargagliSulla base di un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, è possibile attribuire ai soci di una società di capitali (a ristretta base azionaria – familiare), i maggiori redditi constatati nel corso della verifica fiscale.
In buona sostanza, a fronte degli utili extra-bilancio non dichiarati, accertati nei confronti dell’impresa sottoposta a controllo, si realizza una presunzione legale relativa in capo ai soci che dovranno dimostrare al Fisco che i maggiori ricavi rilevati non hanno formato oggetto di successiva distribuzione.
Già in passato, la Corte di cassazione aveva affrontato il tema dell’accertamento induttivo a carico delle società a ristretta base familiare, delineando l’operatività delle presunzioni legali relative che ne derivano.
A tale fine, si riporta una raccolta delle principali sentenze di riferimento:
- Corte di cassazione, sentenza n. 24531 del 24.09.2007: l’Amministrazione finanziaria può presumere che i soci di un’impresa a ristretta base familiare abbiano percepito “utili occulti”, poi utilizzati per operare un notevole aumento di capitale a favore della persona giuridica. In tale circostanza la presunzione di distribuzione di utili avveniva sulla base di una “presunzione semplice”, tenuto conto che i soci non disponevano autonomamente di propri redditi che – potenzialmente – potevano essere conferiti nella società;
- Corte di cassazione, ordinanza n. 19013 del 27.09.2016: in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori redditi non sono stati distribuiti ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti;
- Corte di cassazione, sentenza n. 25683 del 14.12.2016: in mancanza di prova contraria da parte del contribuente, va confermato l’accertamento ritenendosi legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale che, in tal caso, caratterizza la gestione sociale.
Più di recente, sempre la suprema Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 27049 pubblicata in data 23.10.2019, ribadendo il suo precedente orientamento, ha confermato che l’Amministrazione finanziaria può presumere che i soci di un’impresa a ristretta base familiare – anche se costituita sotto forma di società di capitali – abbiano percepito “utili occulti” non contabilizzati in bilancio.
In seguito ad una verifica fiscale, l’Agenzia delle entrate aveva applicato la presunzione di ripartizione degli utili ai soci, stante la base ristretta della società.
In merito, la compagine societaria dell’impresa verificata era così composta:
- persona fisica (Mario Rossi);
- persona giuridica (Alfa S.p.A.).
A parere dell’Ufficio finanziario, la circostanza che i soci della sopra indicata Alfa S.p.A. fossero due persone fisiche (Mario Rossi e Maria Rossi) non impediva di ritenere che i maggiori utili non dichiarati, conseguiti dalla società ispezionata, fossero stati distribuiti alle due persone fisiche, sig.ri Rossi, nonostante l’intermediazione di Alfa S.p.A.
A parere degli Ermellini, infatti, applicando il principio del divieto di abuso del diritto, ferma rimanendo la liceità civilistica della scelta organizzativa per la titolarità dell’impresa, non si può opporre l’esistenza di un socio intermedio, avente la natura di persona giuridica, per sottrarre i pochi soci effettivi dell’impresa alla presunzione di essersi ripartiti gli utili non contabilizzati.
In altri termini, la regola della presunzione dell’imputazione degli utili extra bilancio ai soci di una società di capitali a ristretta base sociale non limita la sua efficacia all’ipotesi in cui la ristrettezza della compagine sociale si verifichi in un solo grado, quando cioè la società di capitali titolare dell’impresa ha soci in numero limitato, ma estende la sua efficacia anche al grado ulteriore, cioè quando, “per effetto della partecipazione alla società di capitali titolare dell’impresa di un’altra società di capitali, che sia a sua volta a ristretta base sociale, la compagine sociale, per così dire, di secondo grado, sia ancora caratterizzata dalla ristrettezza”.
Nel caso esaminato dagli ermellini:
- la compagine sociale di secondo grado era costituita da due sole persone fisiche, per di più tra di loro apparentate;
- per dare applicazione al divieto dell’abuso di diritto tributario nell’utilizzazione, lecita dal punto di vista civilistico, delle forme associate di titolarità dell’impresa a fini elusivi delle imposte sul reddito sugli utili non contabilizzati, lo strumento più idoneo è quello di riconoscere che l’efficacia della presunzione dell’imputazione ai soci si estende a tutti i gradi di organizzazione.
Infine giova ricordare che, proprio sulla base del panorama di riferimento sopra illustrato, la prassi operativa ha rilevato che, nelle ipotesi in cui, a seguito di una attività di controllo nei riguardi di una società di capitali a ristretta base azionaria (e, a maggior ragione, se a base familiare), si siano formulate proposte di recupero a imposizione per elementi di reddito non dichiarati, appare possibile completare l’azione ispettiva anche con un successivo e distinto intervento nei confronti dei soci.
Si potranno così formalizzare in atti, ove ne ricorrano tutti i presupposti, le proposte di recupero dei maggiori dividendi presuntivamente ottenuti in relazione a quanto non dichiarato dalla società, oltre alla formulazione nei riguardi di quest’ultima di apposito rilievo per omessa effettuazione e versamento di ritenuta, nei casi in cui è prevista l’applicazione di questa all’atto della distribuzione dei dividendi (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 1 “Le metodologie di controllo basate su prove presuntive”, pag. 31).