Ristretta base sociale e presunzione di distribuzione di utili: quando e quanto?
di Niccolò Di Bella
Grazie ad una giurisprudenza a dir poco ondivaga, il tema della presunzione di distribuzione di utili nelle società a ristretta base sociale continua (e continuerà..) ad appassionare “professionisti del fisco” e cultori del diritto tributario, alla disperata ricerca di punti fermi che allo stato dell’arte sembrano ben lontani; la Legge Delega n°23/2014 infatti non è parsa intenzionata a porre rimedio alle situazioni che si vengono a creare a seguito dell’utilizzo della presunzione in commento da parte dell’Amministrazione Finanziaria, e pertanto difficilmente ci si dovrà aspettare qualcosa nei decreti che verranno approvati nei prossimi mesi.
Un recente articolo di Massimo Conegliaro a commento della Sentenza n°61/2014 emessa dalla CTR di Firenze ci ha ricordato come i giudici di merito siano sempre più attenti (o forse potremmo dire critici) rispetto alle automatiche imputazioni ai soci degli utili extracontabili o occulti conseguiti dalla società.
Ricordando che l’accertamento tributario nei confronti della società costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico all’accertamento nei confronti dei soci, e che il giudizio nei confronti di questi ultimi risulterà sicuramente pregiudicato dalla definitività del primo (Cass. n°441/2013), vogliamo in questa sede introdurre due elementi che possono rappresentare un supporto nella strategia difensiva del contribuente socio di società a ristretta base:
- la difficoltà/impossibilità di determinare in quale esercizio siano stati effettivamente distribuiti gli utili che si presumono conseguiti dalla società, e pertanto l’esercizio nel quale emergano riflessi impositivi in capo al socio;
- la necessità di considerare l’eventuale quantum imputabile al socio non solo in ragione della percentuale di partecipazione al capitale sociale, ma anche e soprattutto avendo riguardo della modalità di tassazione di somme che, essendo identificate quali “utili”, soggiacciono a specifiche disposizioni contenute nel TUIR.
Con riguardo al primo aspetto, se è vero che si è sempre assistito ad un’automatica imputazione degli utili in capo al socio nell’esercizio in cui questi vengono conseguiti dalla società, è cosa nota che solitamente tale distribuzione avviene in esercizi diversi da quelli in cui sono maturati. A tal proposito giova ricordare che l’art. 44 del TUIR dispone che i redditi di capitale derivanti da partecipazioni come quelle in commento siano assoggettati ad imposta in capo al socio-percipiente nell’esercizio in base al c.d. “criterio di cassa”, diversamente dai ricavi delle società che rilevano in base al criterio della competenza economica; ecco che quindi il Fisco dovrà provare, attraverso ulteriori circostanze (tramite indagini finanziarie, verifiche sullo stile di vita ecc…), l’eventuale scostamento tra quanto dichiarato dal socio e la sua effettiva capacità contributiva nel medesimo esercizio in cui è stato definitivamente accertato l’occultamento di somme da parte della società
Pur rappresentando un interessante, e spesso “inesplorato”, elemento di supporto per la tesi sostenuta dal contribuente, bisogna però ammettere che costruirne attorno tutta la linea difensiva risulterebbe alquanto azzardato.
Diverso il discorso sul secondo aspetto, legato al “quanto” può essere imputato al socio a titolo di maggiore reddito imponibile allo scattare della presunzione in commento, data la presenza di diversi orientamenti che hanno dichiarato l’illegittimità della tassazione piena, in luogo dell’esenzione prevista dall’art. 47 del TUIR (si vedano, ad esempio, la CTR Lazio n°309/2013 e la CTP Treviso n°31/2013).
Ricordiamo infatti che quest’ultimo, nei casi in cui la società non abbia adottato il regime della trasparenza fiscale, dispone la tassazione dei dividendi derivanti dal possesso di partecipazioni qualificate in misura limitata al 49,72%; percentuale ridotta al 40% per gli utili prodotti dalla società fino al 31.12.2007.
Infatti, riprendendo il ragionamento esposto all’inizio secondo cui l’accertamento tributario nei confronti della società deve necessariamente precedere quello nei confronti dei soci, non si intravede il motivo in base al quale l’Ufficio non dovrebbe tenere in considerazione quella doppia imposizione – contraria al nostro Ordinamento – che si genererebbe in capo al contribuente che vedrebbe i presunti utili tassati dapprima a titolo di maggiore IRES in capo alla società, e successivamente a titolo di maggior IRPEF su quel 50,28% di imponibile che dovrebbe essere esentato da tassazione in base al predetto art. 47.
Per dirimere una volta per tutte questo argomento sarebbe opportuno l’intervento da parte della Suprema Corte nelle sue Sezioni più autorevole, ovvero quelle Unite.