Ritenute d’acconto scomputabili anche se non certificate
di Luca CaramaschiOgni anno, in occasione della compilazione delle dichiarazioni dei redditi ci si imbatte spesso nella situazione per cui un contribuente, che nel corso del periodo d’imposta oggetto di dichiarazione si è visto “incidere” da ritenute operate a titolo di acconto, non riesca ad ottenere la rispettiva certificazione dal proprio sostituto d’imposta (o meglio, da colui che, dopo aver trattenuto la somma corrispondente all’importo della ritenuta, avrebbe dovuto versarla all’Erario, provvedendo successivamente all’inoltro telematico della Certificazione Unica all’Agenzia delle Entrate inviandone copia al proprio sostituito).
Oltre a casi nei quali chi ha operato la ritenuta, oltre a non averla versata, non ha nemmeno trasmesso telematicamente all’Agenzia la predetta certificazione unica (CU), vi sono anche situazioni, che potremmo definire “intermedie”, nelle quali il sostituto d’imposta, che comunque non ha versato la ritenuta, ha trasmesso telematicamente la CU, inviandone copia al sostituito.
Le due situazioni, sotto il profilo operativo, comportano effetti certamente differenti in quanto l’articolo 36-ter D.P.R. 600/1973, che si occupa del controllo formale delle dichiarazioni (i cosiddetti “avvisi bonari”) stabilisce, alla lettera a) del comma 2, che “Senza pregiudizio dell’azione accertatrice a norma degli articoli 37 e seguenti, gli uffici possono: a) escludere in tutto o in parte lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, dalle comunicazioni di cui all’articolo. 20, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, o dalle certificazioni richieste ai contribuenti ovvero delle ritenute risultanti in misura inferiore a quella indicata nelle dichiarazioni dei contribuenti stessi;”.
Il mancato rilascio della certificazione al soggetto sostituito, pertanto, ha indotto molti Uffici dell’Agenzia delle Entrate a disconoscere in capo ai contribuenti lo scomputo delle ritenute per le quali non risultava rilasciata la relativa certificazione, seppur in un contesto dove la stessa risultava indubitabilmente “operata”, e cioè trattenuta dal sostituto.
Questa disposizione a carattere procedurale, tuttavia, si “scontra” con un’altra previsione contenuta questa volta nel Testo Unico delle imposte sui redditi. Si tratta dell’articolo 22 Tuir il quale, proprio a proposito dello “Scomputo degli acconti” afferma al comma 1 lettera b) che “Dall’imposta determinata a norma dei precedenti articoli si scomputano nell’ordine: … c) le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente. Le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall’imposta relativa al periodo di imposta nel quale sono state operate. Le ritenute operate sui redditi delle società, associazioni e imprese indicate nell’articolo 5 si scomputano, nella proporzione ivi stabilita, dalle imposte dovute dai singoli soci, associati o partecipanti”.
Detta disposizione, infatti, come è agevole constatare, fa unicamente riferimento alle ritenute “operate”, senza richiamare la successiva azione del sostituto d’imposta consistente nel versamento all’erario della medesima, l’invio telematico della certificazione unica all’Agenzia delle entrate e il suo successivo inoltro al soggetto sostituito.
Se il diritto a scomputare le ritenute solo “operate” e quindi non anche “certificate” rappresenta un principio oramai consolidato dalla costante giurisprudenza di legittimità (si veda, per tutte, la sentenza della Corte di Cassazione n.14138 del 07.06.2017) rimaneva il problema della interpretazione della già richiamata disposizione contenuta nell’articolo 36-ter D.P.R. 600/1973, dettata in tema di controllo formale della dichiarazione.
Sul punto si è pronunciata la Corte di Cassazione che con la recentissima sentenza n. 18910 del 17.07.2018 affermando che “La norma sul controllo formale delle dichiarazioni, usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate, deve essere integrata secondo i principi generali della prova. In altri termini, quando stabilisce che gli uffici «possono» escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, l’articolo 36-ter d.P.R. 600/1973 deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) «possono» apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti”.
La stessa Suprema Corte, peraltro, richiama un precedente intervento di prassi della stessa Agenzia delle Entrate (risoluzione 68/E/2009), rilevando come la stessa “si sia infine determinata a consentire lo scomputo delle ritenute non certificate, ove il contribuente ne dia prova equivalente al certificato”.
In tal senso appaiono dirimenti alcuni passaggi forniti dall’Agenzia nel citato documento di prassi quando ritiene che “il contribuente sia comunque legittimato allo scomputo delle ritenute subite, a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente da banche o altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l’importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura” e che “nell’ipotesi in cui fattura e documentazione siano prodotte in sede di controllo ai sensi dell’articolo 36-ter D.P.R. n. 600 del 1973, alle stesse andrà, inoltre, allegata una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui il contribuente dichiari, sotto la propria responsabilità, che la documentazione attestante il pagamento si riferisce ad una determinata fattura regolarmente contabilizzata”.