Ritrattazione della dichiarazione d’intento e detrazione dell’IVA
di Marco PeiroloIn un precedente articolo, è stato osservato che l’esportatore abituale può revocare la dichiarazione d’intento senza che sia previsto a tal fine un modello specifico e un obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate e che, a seguito della revoca, il cedente o prestatore debba emettere fattura con addebito dell’IVA.
Potrebbe anche succedere che l’esportatore abituale, avvedutosi dell’erroneità dei dati indicati nella dichiarazione d’intenti, ritratti la medesima in un momento successivo all’emissione, nei suoi confronti, della fattura in regime di non imponibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. 633/1972.
La Corte di Cassazione, in più occasioni, ha affermato che nei confronti del cessionario/committente che abbia rettificato la dichiarazione d’intenti non si applica la sanzione proporzionale (dal 100 al 200% dell’imposta) a condizione che abbia chiesto al cedente/prestatore, contemporaneamente alla ritrattazione della dichiarazione, l’emissione della nota di addebito dell’IVA (es. Cass. n. 8362/2002).
A fondamento di questa conclusione, i giudici di legittimità osservano che la correzione della dichiarazione d’intento ha “eliminato completamente il rischio per l’Erario di perdita di entrate fiscali”, facendo venire “meno i presupposti per l’irrogazione di sanzioni conseguenti a violazioni degli obblighi di fatturazione e dichiarazione”.
Tale motivazione discende dalle indicazioni rese dalla Corte di giustizia nelle cause C-454/98 (Schmeink & Cofreth e Strobel) e C-342/87 (Genius Holding), secondo cui al destinatario della fattura è precluso l’esercizio della detrazione siccome “limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA o versate in quanto erano dovute”. Per contro, “allorché colui che ha emesso la fattura (nella specie, il fornitore) ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali, il principio di neutralità dell’IVA richiede che l’imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, senza che una tale regolarizzazione possa essere subordinata alla buona fede di colui che ha emesso tale fattura”.
Per comprendere meglio le ragioni della disapplicazione, nei confronti del cessionario/committente, della sanzione proporzionale occorre ricordare che le operazioni detassate ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. 633/1972, a differenza di quelle delle precedenti lettere a) e b), “nascono”, si può dire, come imponibili per diventare non imponibili a seguito della consegna al cedente/prestatore della dichiarazione d’intento unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate.
Si comprende, pertanto, che se la dichiarazione d’intento risulta mendace, il cessionario/committente non ha diritto di acquistare i beni e servizi senza applicazione dell’imposta, in quanto l’operazione mantiene ab origine la qualifica di operazione imponibile, essendo il passaggio alla non imponibilità collegato allo status di esportatore abituale dell’acquirente e, come detto, alla corretta emissione e presentazione della dichiarazione d’intento.
Se, dunque, la dichiarazione d’intento è da intendere come un atto fiscalmente rilevante ed, in quanto tale, ritrattabile dal cessionario/committente, la rimozione del vizio che esclude la non imponibilità fa sì che l’operazione ridiventi imponibile.
In questa situazione, il cedente/prestatore è obbligato, secondo la regola generale dell’articolo 17, comma 1, del D.P.R. 633/1972, all’applicazione dell’imposta mediante nota di variazione in aumento a carico del cessionario/committente.
Ed è proprio in tal senso che si può interpretare l’insegnamento offerto dagli arresti giurisprudenziali in rassegna.
In effetti, la disapplicazione della sanzione proporzionale a carico del cessionario/committente si pone in deroga al principio generale che considera responsabile il debitore d’imposta, vale a dire il cedente/prestatore.
L’osservazione dei giudici di legittimità secondo cui la ritrattazione della dichiarazione d’intento ha “eliminato completamente il rischio per l’Erario di perdita di entrate fiscali”, facendo venire “meno i presupposti per l’irrogazione di sanzioni conseguenti a violazioni degli obblighi di fatturazione e dichiarazione”, si fonda proprio sul ritrasferimento della responsabilità dal cessionario/committente al cedente/prestatore conseguente al dovere, per quest’ultimo, di addebitare l’imposta.
Un’ulteriore e diversa questione che si pone è se l’esportatore abituale abbia diritto alla detrazione dell’IVA che il proprio fornitore ha erroneamente addebitato in fattura nonostante il regolare invio della dichiarazione d’intento e della relativa ricevuta di presentazione all’Agenzia delle Entrate.
La Commissione tributaria provinciale di Terni, nella recente sentenza n. 121/1/17 del 12 giugno 2017, ha escluso la detrazione nel presupposto che l’imposta applicata non è dovuta e, quindi, neppure detraibile, con la conseguenza che – se il cedente/prestatore non ha attivato la procedura di variazione in diminuzione nel rispetto del termine annuale previsto dall’articolo 26, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972 – l’esportatore abituale può rivalersi nei suoi confronti ai sensi dell’articolo 2033 cod. civ..
Tale conclusione, che a prima vista parrebbe porsi nel solco del costante indirizzo giurisprudenziale che considera indetraibile l’IVA indebitatamente assolta in via di rivalsa, in realtà, deve essere opportunamente criticata.
È vero, in base a quanto sopra esposto, che l’operazione nasce imponibile per diventare non imponibile su opzione dell’esportatore abituale, manifestata – come più volte evidenziato – con la consegna al cedente/prestatore della dichiarazione d’intento unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate.
Se da ciò consegue che l’operazione non deve essere assoggettata ad imposta, l’errore commesso dal cedente/prestatore resta in ogni caso estraneo alle conseguenze ed ai relativi rimedi indicati nella decisione in commento, da intendersi limitati alle ipotesi di operazioni estranee al campo di applicazione del tributo.
In tal senso, è sufficiente passare in rassegna le numerose casistiche affrontate dalla Corte di giustizia per rendersi conto come sia del tutto fuorviante applicare in maniera generalizzata il principio di indetraibilità discendente dalla previsione dell’articolo 203 della Direttiva n. 2006/112/CE e del corrispondente articolo 21, comma 7, del D.P.R. 633/1972.