Rivalsa dell’Iva ex post preclusa dall’estinzione del cliente
di Marco PeiroloDopo la risposta dell’Agenzia delle Entrate all’interpello n. 66, pubblicata il 12 novembre 2018, in cui è stato escluso che il cessionario/committente, al quale sia stata negata la detrazione dell’Iva erroneamente applicata dal cedente/prestatore, possa emettere nei confronti di quest’ultimo una nota di addebito dell’imposta, ex articolo 60, comma 7, D.P.R. 633/1972, l’Agenzia ha fornito nuove indicazioni sull’ambito applicativo di tale disposizione con la risposta all’interpello n. 84, pubblicata il 26 novembre 2018.
A seguito delle modifiche operate dal D.L. 1/2012, l’articolo 60, comma 7, D.P.R. 633/1972 stabilisce che: “Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.
In sostanza, il cedente/prestatore può esercitare la rivalsa dopo avere effettivamente pagato all’Erario l’imposta accertata, oltre le sanzioni e gli interessi, mentre l’esercizio del diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente è subordinato, in deroga agli ordinari principi, all’avvenuto pagamento dell’Iva addebitatagli in via di rivalsa dal cedente/prestatore, scongiurando in tal modo l’ingiusto arricchimento che il cessionario/committente conseguirebbe se detraesse l’imposta senza provvedere al suo effettivo pagamento.
Nel caso affrontato dall’Agenzia si è trattato di stabilire se, in virtù del principio di neutralità dell’imposta, la cessazione dell’attività d’impresa e la perdita dello status di soggetto passivo Iva del cessionario/committente, pur rendendo tecnicamente impossibile, dal lato attivo, l’esercizio del diritto di rivalsa da parte del cedente/prestatore e, dal lato passivo, l’esercizio del diritto di detrazione da parte del cessionario/committente, consentano comunque al cedente/prestatore che abbia versato all’Erario la maggiore imposta accertata di recuperarla in detrazione mediante l’emissione di una nota di variazione in diminuzione.
A prima vista potrebbe ritenersi che al cedente/prestatore debba essere riconosciuto il diritto alla detrazione alla luce delle indicazioni contenute nella circolare 35/E/2013 (§ 3.5), riguardante l’esercizio della rivalsa e della detrazione, a seguito di fusione per incorporazione, dell’Iva accertata nei confronti della società incorporata e relativa a prestazioni di servizi rese alla società incorporante.
Il dubbio si riferisce all’ipotesi in cui la società incorporante che abbia versato l’Iva accertata nei confronti della società incorporata, relativa ad operazioni rese nei suoi stessi confronti, possa esercitare il diritto alla detrazione.
Nel citato documento di prassi viene precisato che “la coincidenza, per effetto della fusione, del soggetto che ha titolo ad effettuare la rivalsa con quello che la dovrebbe subire rende tecnicamente impossibile il suddetto adempimento. Tuttavia, in ossequio al principio di neutralità dell’imposta, si ritiene che l’incorporante/committente che ha provveduto al versamento all’Erario dell’IVA accertata possa comunque esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633”.
Tale impostazione non è estendibile alla fattispecie oggetto della risposta all’interpello n. 84, in cui si è verificata l’estinzione del cessionario/committente, in quanto – come già specificato dalla circolare 35/E/2013 – è possibile esercitare il diritto di rivalsa a condizione che l’accertamento abbia consentito l’individuazione esatta del cessionario/committente e la riferibilità dell’Iva accertata alle operazioni di cessione/prestazione effettuate.
Dopodiché, l’Agenzia rammenta che, in via generale, in caso di mancato pagamento dell’Iva da parte dell’acquirente del bene/servizio, l’unica possibilità consentita al cedente/prestatore per il recupero dell’Iva pagata all’Erario, ma non incassata, è quella di adire l’ordinaria giurisdizione civilistica.
Nel caso di specie, tuttavia, tale via resta preclusa a decorrere dalla cancellazione della società cessionaria/committente dal Registro delle imprese che, a sua volta, comporta l’estinzione definitiva della società stessa e la conseguente perdita della titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio. In pratica, il diritto di rivalsa, pur astrattamente riconosciuto, non è più giuridicamente esercitabile dal cedente/prestatore.
Nella risposta all’interpello, l’Agenzia afferma, inoltre, che quest’ultimo ha posto in essere comportamenti incompatibili con la volontà di esercitare la rivalsa facoltativa di cui all’articolo 60, comma 7, D.P.R. 633/1972, tali da pregiudicarle definitivamente l’esercizio del predetto diritto.
In proposito, si fa riferimento ad una duplice circostanza:
- da un lato, l’identità della compagine societaria tra la società cedente/prestatrice e quella cessionaria/committente implica che la scelta di chiudere definitivamente quest’ultima, con preclusione della futura rivalsa, sia imputabile alla volontà manifestata dagli stessi soci della società cedente/committente successivamente all’inizio del controllo fiscale;
- dall’altro, l’inerzia della società cedente/prestatrice nei confronti della società cessionaria/committente, nel periodo compreso tra la data in cui la prima società ha versato l’Iva accertata e la data degli eventi successivi che hanno condotto alla chiusura della partita Iva e alla cancellazione definitiva della società cessionaria/committente dal Registro delle imprese, è un ulteriore indice dell’assenza di volontà di esercitare la rivalsa.