Rivalutazione beni d’impresa: tanti, maledetti e subito (forse)
di Fabio Garrini
Tra i vari interventi del DL 66 del 24 aprile 2014 (noto come “Decreto Renzi” o altresì, mutuando la definizione dal suo provvedimento più reclamizzato, “Decreto Irpef”) ve ne è uno che lascia piuttosto perplessi: l’art. 4 c. 11 dispone infatti che l’imposta sostitutiva per accedere alla rivalutazione dei beni d’impresa, prevista dal c. 145 della Legge di Stabilità 2014 (L. 147/2013) perde il beneficio della rateazione triennale originariamente prevista e deve essere interamente versata in unica soluzione.
La questione è passata un po’ in sordina visto che di per sé già il provvedimento di rivalutazione è poco conveniente, ma quanto previsto nel DL 66/2014 potrebbe avere delle ripercussioni per coloro che avessero deciso di accedervi.
Bilanci da ripensare
Evitiamo di soffermarci sulle caratteristiche proprie del provvedimento di rivalutazione, già ben note visto che non si tratta certo della prima edizione, così come rinviamo a precedenti contributi apparsi sulle pagine del presente quotidiano telematico (“Colpo di scure sulla rivalutazione dei beni” di Giovanni Valcarenghi) per ogni considerazioni circa la scarsa convenienza con la quale è stato pensato. Concentriamoci invece, su quanto vi è di nuovo, ossia la necessità di versare tutta e subito l’imposta sostitutiva che, sulla base della precedente formulazione, si sarebbe potuta versare in 3 rate annuali. Entro il termine per il versamento delle imposte 2013 (quindi, in via generale, entro il prossimo 16 giugno) occorrerà versare l’importo integrale di quanto previsto per accedere alla possibilità di adeguare il valore dei beni d’impresa. La questione è non di poco conto visto che, oltre che una disposizione di cui occorrerà occuparsi in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi, essa necessariamente va ad impattare anche sulla chiusura dei bilanci di cui ci stiamo occupando proprio in questi giorni.
La nuova previsione potrebbe anche far cambiare le scelte già assunte dalle imprese, quindi obbligando in alcuni casi ad intervenire su bilanci già chiusi.
Di certo tale previsione crea difficoltà anche a coloro che avevano scelto, malgrado la scarsa convenienza dell’operazione, di approcciarne il contenuto: si pensi a chi ha pianificato la vendita di un asset nel medio periodo (va ricordato il differimento previsto per la rilevanza fiscale di tali valori) e il confronto tra la tassazione ordinaria e quanto dovuto a titolo di imposta sostitutiva ha consigliato di procedere alla rivalutazione. Oggi potrebbe non avere la disponibilità finanziaria per aderire all’istituto, per cui potrebbe essere costretto a rinunciarvi, quando invece la ripartizione del versamento in tre anni avrebbe potuto consentirgli l’accesso (magari grazie al cash flow proveniente dall’attività). Giusto per fare un esempio, si pensi ad una impresa che ha un immobile completamente ammortizzare che prevede di dismettere tra qualche anno, il cui valore di aggira sul milione di euro: con la rivalutazione si troverebbe a pagare € 160.000 di imposta contro € 319.000 di IRES + IRAP. Il risparmio è considerevole, ma viste anche le difficoltà finanziarie che le imprese conoscono bene, questa impresa potrebbe dovervi rinunciare. Ricordando peraltro che la plusvalenza derivante dalla cessione del cespite è rateizzabile ai sensi dell’art. 86 c. 4 TUIR, offrendo vantaggio finanziario alla tassazione ordinaria.
Nella sostanza, un provvedimento che già aveva poco appeal nella versione originaria per la moderata convenienza economica nel confronto tra imposta sostitutiva e imposte ordinaria, ora perde ulteriore interesse per l’appesantimento finanziario introdotto dal DL 66/2014.
Nel comunicato stampa che accompagna il DL 66/2014 si legge tra le fonti di copertura al provvedimento: “È prevista inoltre la riduzione da 3 anni a 1 anno del numero di rate per il pagamento dell’imposta sulle plusvalenze dalla rivalutazione degli asset d’impresa (gli importi previsti per il 2015 e il 2016 dovranno essere corrisposti nel 2014) per un importo di 600 milioni.” Come a dire che, anziché considerare nel 2014 solo la prima rata di 304 milioni viene rilevato l’importo integrale, pari a 912 milioni.
Trattandosi di un istituto opzionale, in cui i contribuenti scelgono se accedervi o meno, se ne viene ridotta la convenienza non si ottiene un anticipo di gettito, ma probabilmente una riduzione tout court.
Sarebbe opportuno ricordare a chi ha pensato a questa previsione che 300+300+300 potrebbe anche dare zero.