18 Gennaio 2014

Rivalutazione solo fiscale?

di Giovanni Valcarenghi
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Una questione particolarmente delicata da sviscerare in merito alla rivalutazione dei beni e delle partecipazioni attiene alla circostanza che essa possa o meno essere eseguita in ambito meramente civilistico. Al riguardo, va segnalato che il dato letterale non sembra dirimente per assumere l’una o l’altra tesi poiché il testo dei commi da 140 a 146 della L. 147%13 è diverso:

  • sia dall’immediato precedente normativo (D.L. 185/08)
  • sia da quello ulteriormente precedente (L. 266/05).

Non sfuggiranno i vantaggi che deriverebbero dal riconoscere il diritto ad eseguire la rivalutazione in sede meramente civilistica, vantaggi che possono essere riassunti nei seguenti aspetti che sono tutte conseguenze dell’incremento del patrimonio netto:

  • miglioramento del rating con gli istituti di credito;
  • possibilità di coprire perdite senza ricorrere all’intervento personale dei soci;
  • sistemazione di posizioni di “eccessivo” prelevamento dei soci nelle società di persone rispetto alle riserve disponibili.

Infine, è evidente che i motivi che avevano indotto il legislatore del D.L. 185/08 a concedere la possibilità della mera rivalutazione civilistica, consistenti nel fronteggiare la crisi economica con una più reale esposizione della consistenza patrimoniale dell’impresa, sono ancora tutti purtroppo presenti, atteso il perdurare della crisi che colpisce l’economia nazionale e non solo.

Detto ciò analizziamo le argomentazioni che potrebbero essere assunte per sostenere le due posizioni (a favore e contro la rivalutazione meramente civilistica) dal punto di vista strettamente letterale.

L’articolo 15, comma 20 del D.L. 185/08, cioè la norma che per la prima volta concesse la possibilità di una rivalutazione meramente civilistica, affermava esplicitamente che “Il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione può essere riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi… con il versamento di una imposta…”. Combinando questo con il precedente articolo 16, in cui si affermava che in deroga alle disposizioni dell’articolo 2426 Codice Civile si poteva rivalutare i beni immobili, si arrivava agevolmente alla tesi secondo cui la rivalutazione non comportava l’obbligo di versare un’imposta sostitutiva, bensì una facoltà di riconoscimento fiscale, il che non pregiudicava la validità della rivalutazione stessa in chiave solo civilistica. In pratica senza costi fiscali si poteva rivalutare gli immobili, come esplicitamente riconosciuto dalla Circolare 11/09, proprio in funzione della presenza della locuzione “può essere riconosciuto..”.

Al contrario, nella rivalutazione di cui alla L. 266/05, il maggior valore assegnato ai beni doveva comportare il riconoscimento fiscale con obbligo di versamento dell’imposta sostitutiva. L’articolo 1 comma 471 della L. 266/05 affermava infatti “L’imposta sostitutiva dovuta.. è versata entro…”. L’utilizzo del verbo “ dovere” indicava un obbligo di rilevanza anche fiscale rivalutazione e ciò in linea con i precedenti normativi dalla L. 342/200 in poi.

L’attuale rivalutazione dispone (art. 1 comma 140 L. 147/13), in primo luogo, che le società di capitali possono rivalutare i beni anche in deroga al disposto dell’articolo 2426 Codice Civile, e fin qui si parla solo della rivalutazione civilistica, e il successivo comma 143 afferma “Il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione si considera riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi… mediante il versamento di un’imposta sostitutiva…”. Vero è che nel testo letterale non si usa il termine “può” del D.L. 185/08, ma nemmeno è usato il termine “imposta sostitutiva dovuta” di cui alla L. 266/05. Sembra di poter dire che il maggior valore è rilevante fiscalmente mediante il versamento di imposta sostitutiva, ma che ciò non costituisca un obbligo imprescindibile della rivalutazione, piuttosto una opportunità che il singolo contribuente potrebbe utilizzare o meno. E’ chiaro che la scelta dell’una o dell’altra tesi sposterà enormemente il senso della norma:

  • se verrà sancita la natura anche meramente civilistica la disposizione costituirà un aiuto concreto all’economia in crisi,
  • mentre se verrà affermata la tesi contraria avremo una disposizione di scarso utilizzo pratico ed interessante solo per le poche aziende.

A noi allora pare che, per mancanza di contrarietà evidenti nel testo normativo e per piena coerenza della norma con la situazione attuale, sia possibile affermare che la rivalutazione possa avere anche solo efficacia civilistica. Proprio per tale motivo, peraltro, dubitiamo anche che sia l’Agenzia delle entrate che possa stabilire la reale portata della norma.