Nella pronuncia in rassegna la Suprema Corte ha rammentato, innanzitutto, quanto statuito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 19704/2015, secondo cui è ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dall’Agente della Riscossione, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’articolo 19, comma 3, D.Lgs. 546/1992.
Infatti, una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisce l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e, pertanto, non esclude la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione.
Ciò premesso, i Giudici di Piazza Cavour hanno chiarito che il contribuente, nella ipotesi in cui venga a conoscenza della iscrizione tramite l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dall’Agente della Riscossione, non ha l’onere bensì solo la facoltà dell’impugnazione, potendo contestare anche in un secondo momento, in ipotesi dopo la notifica di un atto “tipico”, la pretesa della quale sia venuto a conoscenza.
Successivamente, la Corte di Cassazione si è soffermata anche sull’onere di provare la regolare notificazione della cartella di pagamento posta a base dell’iscrizione contestata, affermando che esso grava sull’Agente della Riscossione, il quale può assolverlo mediante produzione in giudizio della relata di notificazione, ovvero dell’avviso di ricevimento della raccomandata postale, essendo esclusa la possibilità di ricorrere a documenti equipollenti, quali, ad esempio, registri o archivi informatici dell’Amministrazione finanziaria o attestazioni dell’ufficio postale.
A tal fine, non è possibile avvalersi del disposto di cui all’articolo 26 D.P.R. 602/1973, secondo cui l’Agente della Riscossione deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento, ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione finanziaria: tale norma, infatti, non enuclea un’ipotesi di esenzione, oltre il quinquennio, dall’onere della prova a vantaggio dell’Agente della Riscossione, limitandosi a stabilire che quest’ultimo conservi la prova documentale della cartella notificata a soli fini di esibizione al contribuente o all’Amministrazione.
Pertanto, l’Agente della Riscossione è comunque tenuto, indipendentemente dal suddetto obbligo di conservazione nel quinquennio, a fornire in giudizio la prova della notificazione della cartella, una cosa essendo l’obbligo di conservazione a fini amministrativi, organizzativi ed ispettivi, e tutt’altra l’osservanza dell’onere probatorio, non derogato dalla norma speciale.
Sulla base di quanto sopra, la Suprema Corte ha concluso pertanto per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale adesivo.