14 Dicembre 2017

Sanzione per l’omessa dichiarazione di costi black list

di EVOLUTION
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Gli articoli 8 e 11 del D.Lgs. 471/1997 contengono un’ampia e variegata casistica sanzionatoria che interessa, da un lato, le violazioni concernenti il contenuto della dichiarazione che non integrano ipotesi di infedeltà dichiarativa, dall’altro, le violazioni commesse con riguardo agli obblighi di carattere informativo.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Sanzioni”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo analizza la violazione dell’omessa indicazione in dichiarazione delle operazioni intercorse con soggetti black list.

Il comma 3-bis dell’articolo 8 del D.Lgs. 471/1997 prevede una specifica sanzione per le irregolarità che riguardano “l’indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all’art. 110, comma 11, [del D.P.R. 917/1986, TUIR]”, che vengono punite nella misura del 10% degli importi non dichiarati, con un minimo di 500 euro ed un massimo di 50.000 euro.

Si tratta di una previsione che sanziona in misura proporzionale una violazione che ha carattere formale, dal momento che non incide né sulla determinazione della base imponibile, né sul calcolo dell’imposta dovuta. La sanzione torna applicabile anche nel caso in cui il contribuente sia poi in grado di dimostrare la deducibilità dei costi, come di seguito illustrato.

Ad ogni modo, per meglio comprendere l’ambito operativo della sanzione, va ricordato che l’articolo 110, commi 10 e 11, del TUIR, nella stesura in vigore sino al periodo d’imposta in corso alla data del 06/10/2015, prevedeva che:

  • Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’art. 168-bis…” (comma 10);
  • Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione…” (comma 11).

Su queste due disposizioni è intervenuto l’articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto internazionalizzazioni, che ha modificato (con decorrenza dal periodo d’imposta in corso alla data del 07/10/2015) i due commi citati nel seguente modo:

  • Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’art. 9…” (comma 10);
  • Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione…” (comma 11).

Sia nel testo ante decreto internazionalizzazioni, che in quello successivo alle modifiche, il citato comma 11 prevedeva, inoltre, l’obbligo strumentale di indicare separatamente nella dichiarazione dei redditi le spese e gli altri componenti negativi che, ai sensi della normativa in esame, risultassero deducibili.

La previsione normativa si traduceva, a livello pratico, nella ripresa in aumento, all’interno del quadro RF (per i soggetti in contabilità ordinaria) dei modelli dichiarativi, delle componenti negative in questione, fatta salva poi la successiva ripresa in diminuzione delle stesse componenti (in modo da neutralizzare la precedente variazione in aumento), ovviamente se e nella misura in cui erano ravvisabili i presupposti di legge per la deducibilità delle stesse (in genere i due importi erano comunque coincidenti).

Per i soggetti in contabilità semplificata era stato previsto un unico rigo apposito all’interno del quadro RG (dove il reddito viene determinato in maniera analitica e non apportando all’utile d’esercizio le variazioni fiscali previste dal TUIR).

Ad ogni modo, è proprio con riguardo alla violazione di tale adempimento che il comma 3-bis dell’articolo 8 prevede, come sopra anticipato, l’applicabilità di una sanzione proporzionale secca del 10% degli importi non indicati, ricompresa comunque tra il minimo e il massimo, rispettivamente, di euro 500 e 50.000.

Sul predetto quadro normativo è intervenuto l’articolo 1, comma 142, lettera a), della L. 208/2015 (legge di Stabilità per il 2016), che ha abrogato, con effetto dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31/12/2015, i commi 10 e 11 dell’articolo 110 del TUIR.

Invece la norma sanzionatoria è (inspiegabilmente) rimasta in vigore, con la conseguenza che occorre valutare quale sia la sua attuale portata, anche per quanto concerne gli aspetti relativi, in un’ottica di favor rei, alle violazioni commesse in epoca antecedente alla modifica dell’articolo 110 del TUIR.

Un primo spunto interpretativo, fornito proprio con specifico riguardo all’istituto del favor rei, è stato proposto dalla Corte di Cassazione, la quale nella sentenza 6651/2016 (cfr., in particolare, il punto 3.3) si è così espressa: “È appena il caso in fine di rilevare che nessun rilievo può avere nel presente giudizio lo ius superveniens rappresentato dall’art. 1, comma 142, lett. a) legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), che ha abrogato i commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 T.U.I.R., stante l’irretroattività dello stesso discendente, oltre che, in via generale, dall’art. 11 preleggi, dalla specifica e pienamente convergente disciplina transitoria di cui al comma 144 del medesimo articolo 1, a mente del quale «le disposizioni di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015» (norma il cui riferimento al «periodo d’imposta» e la cui attinenza ad una legge di diritto sostanziale palesa l’implausibilità della interpretazione proposta dalla controricorrente secondo cui essa dovrebbe invece intendersi nel senso di consentire l’applicazione della nuova disciplina anche ai fatti pregressi, purché però in giudizi o con provvedimenti resi a far data dal 1 gennaio 2016).

Alla luce di tale espressa previsione nemmeno può soccorrere il richiamo alla norma di cui all’art. 3 comma 2 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, a mente del quale, «salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile», attesa per l’appunto la previsione di espressa e contraria disciplina transitoria, avente pari forza di legge”.

Tale impostazione ha trovato piena condivisione da parte dell’Agenzia delle Entrate (circolare AdE 39/E/2016, paragrafi 4.3 e 4.4), che, nel rilevare come “tale norma sanzionatoria [l’articolo 8, comma 3-bis, del decreto, n.d.r.] debba essere considerata implicitamente abrogata per effetto della cancellazione della norma primaria, di cui al comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, dalla stessa richiamata, con effetto a decorrere dal periodo di efficacia dell’abrogazione della disciplina dei costi black list”, osserva tuttavia, sposando la linea interpretativa dei Giudici di legittimità, che non trova applicazione nel caso di specie il principio del favor rei, essendosi il legislatore avvalso della possibilità di deroga ad esso offerta dall’incipit dell’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. 472/1997 (“Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni…”).

Ne discende che, fermo restando l’abrogazione implicita del comma 3-bis in commento a decorrere dall’1/01/2016 (non è del resto nemmeno possibile commettere ancora la violazione di cui si discute, dal momento che i modelli dichiarativi approvati nel 2017 non richiedono ovviamente più la separata indicazione delle componenti negative black list), le violazioni commesse sino al periodo d’imposta in corso alla data del 31/12/2015 risulteranno ancora sanzionabili nella misura del 10% (ricompresa tra un minimo e un massimo edittale di 500 e 50.000 euro).

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

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