Sanzioni in materia di orario: Padova smentisce il Ministero
di Luca VannoniIl Tribunale di Padova, con la recente sentenza del 10.11.2014, interviene sulla problematica delle sanzioni amministrative in materia di orario di lavoro, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 153/2014, disapplicando i successivi orientamenti di prassi forniti dal Ministero del Lavoro.
Andando con ordine, si ricorda che pochi mesi fa la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 153/2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 76 Costituzione, dell’art. 18bis, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 66/2003, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. f) del D.Lgs. n. 213/2004.
La pronuncia di illegittimità trova la sua ragione in quanto tale disposizione (il D.Lgs. n. 213/2004, in vigore fino al 2008) ha introdotto un regime sanzionatorio sensibilmente più severo rispetto a quello previgente, nonostante il legislatore nella legge delega avesse stabilito “sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi”.
In particolare, la pronuncia di illegittimità riguarda il quadro sanzionatorio in vigore per il periodo 01.09.2004 – 24.06.2008 (in quanto successivamente le sanzioni furono modificate dal D.L. n. 112/2008) relativa agli artt. 4, commi 2, 3, 4 (durata massima dell’orario di lavoro), art. 7 comma 1 (riposo giornaliero); art. 9, comma 1 (riposo settimanale), art. 10, comma 1 (ferie annuali): le violazioni delle norme su durata massima dell’orario e ferie annuali erano, in via amministrativa, da euro 130 a euro 780 per ogni lavoratore e per ciascun periodo, mentre le violazioni sul riposo giornaliero e settimanale ammontavano da euro 105 a euro 630.
Sulla base di tale pronuncia, il Ministero del Lavoro ha emanato le istruzioni operative relativamente alle situazioni giuridiche ancora aperte. In base alla Circolare n. 12552 del 10.07.2014 e alla successiva Circolare n.37 del 28.08.2014, si procederà alla rideterminazione degli importi delle sanzioni, secondo il previgente (ante 2004) regime sanzionatorio ex art. 9, R.D.L. n. 692/1923 e art. 27, L. n. 370/ 1934, nei seguenti casi:
- gli illeciti contestati con verbali ispettivi non sono stati ancora oggetto di ordinanza ingiunzione;
- per l’ordinanza ingiunzione è ancora possibile l’opposizione in giudizio;
- il giudizio risulta pendente, in quanto non è ancora passata in giudicato la sentenza.
Con la lettera circolare n. 37/2014, inoltre, si è chiarito che la rideterminazione deve essere effettuata “tenendo conto della previsione di cui all’art. 1, comma 1177, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, secondo cui gli importi delle sanzioni amministrative previste per la violazione di norme in materia di lavoro, legislazione sociale, previdenza e tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro entrate in vigore prima del 1° gennaio 1999 sono quintuplicati”.
La ricostruzione operata dal Ministero non è stata condivisa dalla prima sentenza di merito nota sul tema, emessa dal Tribunale di Padova il 10.11.2014.
Il caso riguarda un opposizione a ordinanza di ingiunzione per sanzioni amministrative, per violazione della normativa in materia di riposi settimanali (24h ogni 7 giorni) in riferimento al periodo 2007 – 2009.
Secondo il giudice patavino, la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma sanzionatoria comporta l’annullamento della ordinanza ingiunzione: non si può ritenere applicabile la sanzione prevista dalla pregressa disciplina, l’art. 27 della L. n. 370/1934, in modo postumo, per il solo fatto del venir meno della norma successiva. Il cosiddetto fenomeno della reviviscenza, si legge nella citata sentenza, non opera in via generale ed automatica, ma si può verificare nel caso in cui la norma pregressa sia stata espressamente abrogata da successiva norma poi dichiarata incostituzionale, situazione che non si è realizzata nel caso di specie.
La norma dichiarata incostituzionale, cioè l’art. 18-bis, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 66/2003, “non ha abrogato l’art. 27 della L. n. 370 del 1934 che, invece, era stato abrogato dal successivo art. 19 del D.Lgs. n. 66 del 2003, norma che non è stata in alcun modo toccata dalla sentenza n. 153/2014 della Corte costituzionale”.
Per comprendere le motivazioni della sentenza, è necessario aprire una sintetica parentesi sull’evoluzione del quadro sanzionatorio in materia di orario di lavoro.
Nel 2003, a causa del rischio di sanzioni UE per la non attuazione della Direttiva europea n. 93/104/CE, il D.Lgs. n. 66 fu emanato di corsa: non essendoci stato il tempo tecnico per coordinare il sistema sanzionatorio, fu previsto all’art. 19 che rimanessero in vigore le disposizioni a carattere sanzionatorio del sistema previgente (che in molti casi non risultava compatibile con la nuova disciplina sostanziale dell’orario di lavoro).
Con il D.Lgs. n. 213/2004, fu abrogata tale disposizione e fu introdotto un nuovo regime sanzionatorio, poi modificato più volte, nel 2008, nel 2010 e nel 2013.
Pertanto, essendo incostituzionale il D.Lgs. n. 213/2004 solo nella parte in cui inasprisce le sanzioni, e non nella parte che ha abrogato la sopravvivenza delle sanzioni amministrative, nessuna sanzione risulta applicabile per il periodo 2004 – 2008.
È del tutto evidente che la pronuncia non condivide, e disapplica, l’interpretazione del Ministero del Lavoro, che, viceversa, ritiene comunque applicabile una sanzione e, a tal fine, risale al regime previgente sostituito dalla norma dichiarata incostituzionale. La motivazione della sentenza sembra del tutto condivisibile, nell’attenta ricostruzione del quadro sanzionatorio creatosi dalla pronuncia della Corte Costituzionale, sia per l’inesistenza di un regime sanzionatorio sopravvissuto alla dichiarazione di incostituzionalità, sia per l’impossibilità di procedere con la reviviscenza di norme non espressamente abrogate dalla disposizione incostituzionale.