Sapere è potere
di Michele D’AgnoloVi è mai capitato di andare ad un convegno e comprare un libro, per poi scoprire rientrando in studio che un vostro collega lo aveva già acquistato?
Oppure di ricordarvi di aver letto tempo addietro un articolo, un riferimento interessante per risolvere un quesito, e di non riuscire a trovarlo più?
E quante volte avete provato a istituire una riunione di studio, in cui ognuno doveva preparar un argomento a vantaggio di tutti gli altri, ma poi per i motivi più vari questa riunione non si è mai tenuta?
E che dire del praticante che è rimasto per settimane a studiare una nuova operazione senza sapere che ne avevamo già fatta un’altra uguale cinque anni fa, quando lui era ancora a scuola.
È evidente che i nostri studi hanno problemi di gestione della conoscenza. Knowledge management, direbbero gli anglosassoni.
Il problema, se volete, può essere fatto rientrare in quello più ampio di gestione della comunicazione interna, di cui la conoscenza è soltanto una parte. Andrebbero trattate, infatti, anche le comunicazioni che riguardano i clienti, che rispondono all’acronimo del Crm (customer relationship management) e quelle di carattere organizzativo ovvero di gestione dei compiti (task) e di monitoraggio delle scadenze.
Occorre innanzitutto assicurare una buona selezione e distribuzione della conoscenza che entra in studio. Se non entrano cose indispensabili è un guaio, ma dover anche difenderci dalla proliferazione di fonti e di informazioni. Poi dovremo assicurarci che le informazioni salienti arrivino alle persone competenti. E quindi occorrerà, per esempio, stabilire un percorso di lettura per i quotidiani e per le riviste cartacee ed elettroniche che arrivano in studio. E monitorare di tanto in tanto se dette riviste sono ancora utili in quanto vengono lette oppure se non ha alcun senso mantenere gli abbonamenti. E così il collega inviato a sentire un convegno non potrà pensare di essere andato ad una scampagnata: dovrà riportare le informazioni salienti raccolte e comunicarle affinché modifichino adeguatamente le procedure e le modalità operative del personale di studio.
In secondo luogo va verificato che questa conoscenza in ingresso venga adeguatamente raccolta e utilizzata da chi ne ha la necessità.
E così potrà essere frustrante aver distribuito a tutti gli addetti dello studio una circolare settimanale, salvo scoprire che nessuno ha avuto il tempo di leggerla o la capacità di trasformarla in un comportamento agito sulle pratiche dei clienti. Il personale di studio, peraltro, soprattutto quello più attempato, si aspetta che il lavoro di decodifica della norma fiscale venga loro predisposto dal professionista. E forse non ha tutti i torti, in quanto il professionista lo fa generalmente prima e meglio.
Spesso, nell’illusione di una crescita reciproca, tentiamo di coinvolgere i dipendenti nella risoluzione di quesiti incerti, o li costringiamo a farlo in quanto siamo contumaci, per poi scoprire che hanno passato la mattinata in quattro a consultarsi reciprocamente su un problema che avremmo potuto risolvere in un batter di ciglia.
La pluralità di fonti, lungi dal risultare una ricchezza, tende a disorientare gli addetti che si chiedono se dar retta alla ricostruzione dottrinale o a quella dettata dalla prassi o dalla giurisprudenza.
È quindi indispensabile che in studio arrivi e venga adeguatamente distribuita una quantità il più possibile non ridondante di informazioni. Talvolta, tuttavia, l’incrocio di fonti è salvifico perché anche chi scrive di tanto in tanto erra.
I nostri studi fanno anche attività di produzione di conoscenza. Tuttavia, questo sapere non è messo al servizio di tutti, ma soltanto di chi l’ha predisposto e utilizzato in quel preciso momento.
E così, spesso capita di dover studiare per un mese il medesimo quesito che hanno già studiato i nostri colleghi del piano di sopra, con i quali però non abbiamo mai avuto il tempo di confrontarci. E per fortuna abbiamo dato ai due clienti la stessa risposta.
Non di rado, poi, è lo stesso cliente che fa a tutti quanti la stessa domanda, magari in momenti diversi. Sembra quasi che lo faccia apposta, per vedere se stiamo attenti.
Il problema si aggrava quando il cliente racconta soltanto una quota parte delle informazioni necessarie a ciascuno dei nostri addetti, e poi si stupisce di ottenere risposte almeno in parte diverse.
È indispensabile, quindi, che lo studio segnali a tutti in modo adeguato l’avvenuta produzione di nuova conoscenza. Per evitare l’opinion shopping interno di colleghi e clienti. Ed è cruciale che chi deve sviluppare nuova conoscenza si chieda prima di partire in quarta a reinventare l’acqua calda se non la trova per caso già pronta all’interno dello studio, nascosta da qualche parte.
È quindi buona norma, per esempio, distribuire le circolari destinate all’esterno dello studio in primo luogo ai collaboratori e dipendenti affinché le possono far proprie prima della loro diffusione all’esterno.
Spesso i quesiti dei clienti e anche dei dipendenti e collaboratori tendono a ripetersi. E così lo studio può segnalare la precedente risposta evitando di ripetersi, o preparare un elenco di faq. Le frequently asked questions, anche se costano un po’ di fatica iniziale per il loro sviluppo e successivamente per la loro manutenzione possono salvare molte ore di lavoro di risorse professionali preziose. Anche qui non è a volte facile distinguere un quesito ripetitivo da una domanda da nulla che in realtà è la punta di un iceberg.
Un modo per catalogare i quesiti risolti può essere, per esempio, quello di utilizzare la rilevazione dei tempi di lavoro. È sufficiente per ciascuna pratica affiancare una classificazione per argomenti alle consuete rilevazioni di timesheet. Un altro utile esercizio è quello di tenere una banca dati sulle operazioni straordinarie predisposte dallo studio, queste possono essere molto utili anche per la formazione dei praticanti.
Per tutta una serie di operazioni ripetitive come i contratti di locazione sarà bene disporre di facsimili, modelli, checklist uniformi per tutto lo studio, a lucro di tempo. Saranno vere e proprie cassette degli attrezzi a disposizione degli addetti e dei collaboratori.
Altro problema che spesso si manifesta è che la conoscenza viene raccolta individualmente ma non viene catalogata, di modo che risulta inservibile ai più.
Sto pensando all’anziano ragioniere andato in pensione, che ci lasciò in eredità un intero scaffale di ritagli del sole ventiquattr’ore. Due metri cubi di patch work gialli bianchi e salmone assolutamente inservibili, in quanto il criterio in base al quale erano stati diligentemente ritagliati e inseriti in decine di buste di cellophane era noto soltanto a lui. Tra l’altro, con il caldo la plastica era diventata solidale con il testo di molte fotocopie rendendole illeggibili. Un mix di carta e plastica non più buono nemmeno per il macero. Molto meglio, per esempio, utilizzare dei classificatori parlanti. Ma ancora più efficiente è archiviare i documenti elettronicamente etichettandoli in modo da poterli istantaneamente ricercare in base ad una semplice parola chiave. O avere un sistema di ocr, cioè di riconoscimento ottico dei caratteri, che evita anche la fatica di etichettare. Tra l’altro, è rilassante lavorare sul cartaceo ma è poco efficiente. Tanto che spesso ormai per la fretta ricerchiamo nuovamente su Internet con i motori di ricerca anche cose che abbiamo già archiviato nel nostro disco rigido. Altre volte ci sono delle vistose duplicazioni nei mucchietti che ciascuno di noi accumula nei dox dietro la propria scrivania. Che senso ha avere in studio cinque raccolte diverse sugli studi di settore? Non dobbiamo mica fare lo scambio delle figurine. E così sarebbe molto più sensato attribuire la responsabilità della raccolta di ciascun argomento ad un’unica persona all’interno dello studio. Sovente la conoscenza non è adeguatamente distribuita all’interno dello studio, in modo che manca un approccio interdisciplinare. E così un contabile non adeguatamente addestrato può non accorgersi dalle nuove descrizioni delle fatture che avendo il cliente artigiano cambiato attività c’è stata una variazione di rischio ai fini Inail, oppure dalla situazione dei conti che la srl è finita al di sotto del capitale minimo.
Infine, un modo interessante per far crescere la conoscenza collettiva è rappresentato dalla discussione collettiva dei progetti di maggiore importanza e delle non conformità riscontrate all’interno dello studio. Nel primo caso condivideremo con i nostri collaboratori i momenti professionali più belli, nel secondo i peggiori, contribuendo però in entrambe le circostanze a creare in capo a tutti una conoscenza casistica esponenziale e una adeguata cultura della prevenzione. Come diceva Socrate, saggio è colui che sa di non sapere. Allora possiamo tirare un sospiro di sollievo: siamo già a buon punto.