29 Ottobre 2020

Schede telefoniche prepagate: Iva detraibile (parzialmente?) e recupero per il passato

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

Con la risoluzione 69/E/2020 l’Agenzia delle Entrate, su indicazioni del Ministero delle Finanza, chiarisce che le spese di ricarica dei telefoni mobili fatturate ai soggetti passivi, con distinta indicazione dell’imposta, direttamente dagli operatori telefonici, sono con Iva detraibile, e di fatto smentisce l’indicazione fornita nel passato da Direzioni Regionali della stessa Agenzia, allo scopo interpellate, e avallata dalla dottrina pressoché unanime.

Come noto, nella vendita di traffico telefonico mediante schede ricaricabili e mezzi similari, è applicabile il regime monofase, con la conseguenza che l’eventuale fattura emessa non deve comunque indicare l’Iva separatamente dal corrispettivo.

Il regime monofase è quello che può trovare applicazione quando è già conosciuto il prezzo al pubblico di un bene (ad esempio un prodotto editoriale con impresso il prezzo in copertina), e permette che il pagamento dell’Iva su tale prodotto sia effettuato dal soggetto produttore del bene, rendendo irrilevanti ai fini Iva tutti i passaggi successivi.

Se lo scopo dell’Iva è infatti quello di tassare il consumatore finale, con un importo proporzionale al prezzo pagato per l’acquisto del bene o del servizio, tale meccanismo consente di raggiungerlo, senza che i vari soggetti (distributori) che si interpongono tra il produttore e l’utilizzatore finale siano coinvolti nel meccanismo rivalsa/detrazione tipico dell’imposta.

Per l’applicazione di tale regime monofase, lo Stato italiano ha dovuto avvalersi di una deroga, autorizzata dalle autorità comunitarie.

Sul sito della Commissione Europea si precisa, infatti, che il regime della telefonia, approvato tacitamente ai sensi dell’articolo 27, quarto paragrafo, della Direttiva 388/1977, è una deroga all’articolo 21 della predetta direttiva, cioè alla determinazione del soggetto debitore dell’imposta.

Continuando ad analizzare i principi comunitari, non può che ricordarsi che il diritto alla detrazione dell’imposta assolta per l’acquisto di beni e servizi inerenti allo svolgimento di una attività economica, è un diritto fondamentale per il funzionamento dell’Iva, tanto che la sua limitazione può essere introdotta solo previa autorizzazione comunitaria (salvo che non fosse già prevista prima del primo gennaio 1977).

Tra le misure di deroga autorizzate a favore dello Stato italiano, non è mai esistita una deroga in questo senso, e, come detto, il regime della telefonia è una deroga solo nel suo meccanismo, ma non nel diritto alla detrazione dell’Iva per il soggetto passivo che acquisti il credito telefonico.

Il problema è: come è possibile detrarre l’Iva, per un acquisto in regime monofase, se la stessa non è indicata separatamente in fattura?

Di tale problema doveva esserne evidentemente consapevole il Ministero delle Finanze che, nel redigere il D.M. 366/2000, all’articolo 4 dispose che per le cessioni effettuate “dal titolare della concessione, autorizzazione o licenza direttamente nei confronti di imprese ed esercenti arti e professioni, utilizzatori del servizio, l’IVA deve essere separatamente esposta in fattura”. Tale procedura viene infatti comunemente seguita dagli operatori di telefonia, i quali indicano in fattura anche il riferimento all’articolo 74 del Decreto Iva.

A venti anni dalla sua pubblicazione, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di chiedere allo stesso Ministero, redattore del decreto, la sua interpretazione, e la stessa non poteva che essere quella resa nella risoluzione 69/2020, cioè per un generale principio di detraibilità.

In particolare, la risoluzione precisa che è detraibile l’Iva per l’acquisto delle ricariche con il regime monofase effettuate da una azienda che concede il telefono ai propri dipendenti.

Su tale punto si apre un nuovo fronte problematico, e cioè che l’Iva è detraibile secondo principio di inerenza, e, qualora dovesse sussistere anche un utilizzo privato nell’uso del telefono e del suo credito da parte del dipendente, l’azienda dovrebbe portarla in detrazione con una percentuale proporzionale a quello che è l’uso aziendale rispetto a quello privato, oppure, in alternativa, dopo aver eseguito la detrazione integrale, assoggettare ad Iva il “valore normale” della messa a disposizione del telefono e del relativo credito al lavoratore, come indicato dall’articolo 13, comma 3, lettera d) del Decreto Iva.

Per quanto riguarda il credito in abbonamento, le aziende spesso optano per la prima soluzione, portando in detrazione l’imposta nella misura del 50%.

Tale percentuale non è fissata dalla legge, ma, qualora dovesse essere superata, si rende necessaria la compilazione del rigo VA5 del modello dichiarativo, il quale, secondo la norma che di fatto lo istituì, dovrebbe portare all’inserimento del contribuente in una lista di contribuenti da sottoporre a controlli mirati, circa la correttezza di una detrazione maggiore del 50%.

Ciò premesso, è evidente che il principio che vale per la telefonia addebitata con abbonamento, vale anche per la telefonia addebitata su prepagate, con Iva separatamente esposta in fattura: in sostanza, dovrà essere attentamente valutato se portare in detrazione l’imposta integralmente, oppure con percentuali inferiori, qualora si ritenga che possa esserci un utilizzo anche privato del telefono e del credito da parte del dipendente.

Per quanto riguarda il comportamento da adottare per il passato, chi scrive ritiene che non vi siano dubbi per l’immediata detrazione, nella prima liquidazione utile, di tutte le fatture ricevute nel 2020.

Per quanto riguarda le fatture ricevute negli anni precedenti, il recupero dell’Iva non detratta dovrebbe passare invece per la presentazione di una dichiarazione integrativa o per una istanza di rimborso “anomalo”.