Scissione e disposizione in trust di quote: è elusiva?
di Luigi Ferrajoli
Una questione di particolare interesse attiene all’eventuale profilo di elusività della disposizione in trust di quote societarie generate a seguito di scissione societaria. Ovviamente, è importante valutare se vi siano diverse considerazioni da fare a seconda che le partecipazioni disposte in trust siano relative alla società immobiliare o a quella operativa.
Sul punto appare opportuno richiamare alcuni interventi di prassi che hanno affrontato il tema della donazione successiva alla scissione. Si badi non stiamo sostenendo che il trust equivalga ad una donazione ma questo tipo di analisi presenta comunque profili di interesse.
L’Agenzia delle Entrate nella R.M. 22.3.2007, n. 58/E afferma che la scissione seguita dalla successiva donazione, da parte dello stesso socio ai tre figli in parti uguali delle restanti quote di propria spettanza, non integra alcuna fattispecie elusiva in quanto volta a favorire il ricambio generazionale nell’ottica di una continuità nella gestione dell’azienda di famiglia.
Si precisa che la donazione ha ad oggetto le quote della società operativa.
Si afferma, inoltre, che l’operazione prospettata dal contribuente è sostenuta da valide ragioni economiche in quanto, attraverso la separazione del ramo immobiliare, si consente alla società scissa di concentrarsi sull’attività caratteristica e, nel contempo, di razionalizzare secondo logiche imprenditoriali proprie del settore, la gestione del patrimonio immobiliare.
L’operazione in esame non è quindi considerata elusiva.
Sul tema, tuttavia, una più risalente R.M. 16.10.2002, n. 327/E ha chiarito che l’operazione è elusiva se si donano quote di società immobiliari nate dalla scissione. In realtà, l’operazione va analizzata più approfonditamente.
Dalla lettura emerge come il socio della società scindenda fosse socio unico. Inoltre, l’Agenzia contesta che l’istante non adduce alcuna valida motivazione ed, anzi, pone l’accento sulla sussistenza di un mero interesse dell’unico socio di separare il patrimonio sociale.
L’Agenzia delle Entrate evince, pertanto, l’assenza di una concreta motivazione economico gestionale volta, attraverso la divisione del patrimonio originario ed una modifica degli assetti societari, a consentire il mantenimento di stabili condizioni di vita aziendale per entrambi gli organismi derivanti dall’operazione.
L’operazione di scissione in esame si sostanzia nella creazione di una mera società “contenitore” destinata ad accogliere beni da far circolare successivamente sotto forma di partecipazioni.
Infatti, l’istituto alternativo dell’estromissione dei beni immobili dall’esercizio di impresa con conseguente assegnazione degli stessi all’unico socio – che sarebbe successivamente libero di provvedere alla donazione a favore dei figli – genererebbe consistenti plusvalori, tassabili ipso facto.
Alcune precisazioni sono dovute. Innanzitutto, dalla lettura emerge come l’unico intento del socio fosse quello di attribuire le partecipazioni ai familiari senza evidenziare alcuna attività imprenditoriale che, per essere gestita, necessitasse della configurazione societaria ipotizzata.
Inoltre, si trattava del socio maggioritario per cui la scissione era nella sua “disponibilità”.
A conclusioni diverse potremmo giungere se la scissione è per così dire subita dal socio di minoranza. L’art. 2506 ter del c.c., infatti, richiamando l’art. 2502 stabilisce che la scissione è decisa da ciascuna delle società che vi partecipano mediante approvazione del relativo progetto. Se l’atto costitutivo o lo statuto non dispongono diversamente tale approvazione avviene, nelle società di capitali, secondo le norme previste per la modificazione dell’atto costitutivo o statuto.
Pertanto, il socio di minoranza potrebbe subire l’operazione essendo a lui concesso solo uno strumento di reazione: il diritto di recesso in ipotesi di scissione non proporzionale e in caso di Srl.
L’art. 2506 bis stabilisce che qualora il progetto preveda un’attribuzione delle partecipazioni ai soci non proporzionale, il progetto medesimo deve prevedere il diritto dei soci che non approvino la scissione di far acquistare le proprie partecipazioni per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso, indicando coloro a cui carico è posto l’obbligo di acquisto.
Inoltre, l’art. 2473 del c.c. stabilisce che, in ogni caso, il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito alla fusione o scissione della società.
La similitudine trust – donazione non è pensabile in quanto l’atto di trust si caratterizza per l’assenza dell’animus donandi e l’effettivo arricchimento del beneficiario è solamente eventuale e si verifica quando i beni gli saranno assegnati e non in sede dispositiva.
Peraltro, la debenza dell’imposta di donazione in sede dispositiva discende da un mero orientamento dell’Agenzia espresso dalla C.M. 48/E/2007 non approvato né dalla dottrina, né dal Notariato né, infine, dalla giurisprudenza di merito.
La disposizione di partecipazioni immobiliari in trust generate a seguito di scissione non dovrebbe quindi suscitare alcun profilo di elusione fiscale.