Scissione parziale e perdite fiscali della scissa: perplessità dalla risposta 353/2023
di Fabio LanduzziNella recente risposta 353/2023 l’Agenzia delle Entrate, a fronte di un’istanza di interpello, ha trattato il caso di una scissione societaria parziale in cui:
- la beneficiaria, che è anche la società consolidante nella corrente fiscal unit, non ha perdite fiscali (o altre eccedenze riportate di interessi e ACE), né antecedenti all’opzione per il consolidato fiscale e né maturate sino all’ultimo periodo d’imposta chiuso anteriormente a quello in cui la scissione ha avuto efficacia, mentre ha maturato perdite fiscali (oltre a eccedenze di interessi e ACE) nel periodo successivo, ossia in quello che intercorre fra la data di inizio del periodo d’imposta e la data di efficacia della scissione (si tratta di quella frazione di esercizio comunemente denominata, in presenza di operazioni in cui è disposta la retrodatazione degli effetti fiscali, come il “periodo interinale”);
- la scissa, che è una consolidata nella corrente fiscal unit, la quale non ha perdite fiscali e né altre eccedenze di interessi e ACE.
La questione posta in sede di interpello riguardava, nel caso di specie, l’applicazione dei limiti al riporto delle eccedenze di interessi e ACE (essendo le perdite fiscali maturate in costanza di consolidato, l’istante le riteneva infatti estranee all’applicazione dell’articolo 173, comma 7 e comma 10, Tuir) per la parte di esse maturata nel periodo interinale, stante l’assenza di retrodatazione degli effetti contabili e fiscali dell’operazione, che non è infatti consentita ex lege nella scissione parziale.
L’Agenzia delle Entrate ha dapprima confermato che, essendo assente la retrodatazione, la beneficiaria non soggiace ai limiti di riporto delle eccedenze di interessi e ACE, in quanto il proprio periodo d’imposta si mantiene unitario e non subisce perciò interruzioni alla data di efficacia della scissione parziale. E sino a qui, nulla quaestio.
La risposta 353/2023 va però oltre, affrontando la posizione della società scissa; è a questo proposito che giunge a prendere una posizione interpretativa nuova e per molti aspetti piuttosto sorprendente, in quanto non pare trovare alcuna solida base normativa. In poche parole, muovendo dall’assunto che ai sensi del comma 4 dell’articolo 173 le posizioni fiscali soggettive della scissa, da ripartire fra la medesima e la beneficiaria, si assumono nella misura esistente alla data di efficacia della scissione, l’Agenzia delle Entrate arriva a sostenere che per tale ragione “si concretizza l’effetto di attribuire alla beneficiaria una parte dell’eventuale risultato reddituale negativo generato dalla società scissa nel periodo che intercorre tra l’inizio del periodo di imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della scissione”; quindi, l’Agenzia, partendo come detto da questo assunto, individua una possibile fonte di pericolo che consisterebbe nel rischio di una compensazione intersoggettiva della perdita fiscale (ma anche di eccedenze di interessi e ACE) maturata nel periodo interinale in quanto, a suo avviso, l’eventuale perdita e le eventuali eccedenze sarebbero allocabili secondo un criterio proporzionale fra scissa e beneficiaria.
La perplessità che deriva da questa affermazione è che si sta trattando di un’operazione – la scissione parziale – in cui non è (e non può neppure essere) prevista la retrodatazione degli effetti contabili e fiscali, sicché quel paventato pericolo di compensazione dei risultati non esiste, in quanto non esiste un vero e proprio periodo interinale, poiché tanto per la beneficiaria, quanto per la scissa, l’esercizio sociale corrente alla data di efficacia della scissione rimane unitario e senza alcuna interruzione. In altre parole, nella scissione parziale, non esiste un risultato fiscale del periodo interinale da dover allocare fra scissa e beneficiaria, per cui non può esistere neppure quel rischio di compensazione intersoggettiva della perdita fiscale (o delle eccedenze di interessi / ACE) riferibili astrattamente ad un periodo che non esiste.
Vediamo molto brevemente alcune fra le diverse ragioni che rendono questa presa di posizione interpretativa, come detto, piuttosto sorprendente e quindi difficile da poter condividere.
Prima di tutto, come abbiamo appena detto, non esiste nella scissione parziale un periodo interinale, semplicemente perché non c’è retrodatazione degli effetti. La scissa determina il risultato imponibile del periodo d’imposta in cui ha efficacia la scissione parziale senza alcuna interruzione, in modo unitario; perciò, la perdita fiscale, se del caso, emergerà nella dichiarazione dei redditi della scissa relativa al proprio unitario esercizio sociale, e sarà di propria esclusiva pertinenza non dovendo essere allocata in alcun modo alla beneficiaria. Ciò, per il semplice fatto che alla data di efficacia della scissione non esiste una perdita (o se esistesse sarebbe solo un risultato in via di formazione) che possa qualificarsi come una posizione fiscale soggettiva.
Inoltre, in assenza di retrodatazione, non esiste alcuna norma che imponga di derogare al principio della unitarietà del periodo d’imposta della società scissa; il risultato che detta società dovesse stimare extracontabilmente alla data di efficacia della scissione sarebbe qualcosa del tutto provvisorio, soggetto anche a possibili variazioni addirittura a centoottanta gradi, ossia in grado di trasformarsi da perdita a reddito! Non solo, proprio perché manca la retrodatazione degli effetti fiscali dell’operazione, non si potrebbe neppure parlare di risultato fiscale di una frazione di periodo che, appunto, non esiste da un punto di vista normativo.
Sarebbe perciò auspicabile che, salvo un intervento di rettifica o chiarimento, questa parte della risposta 353/2023, riferita alla società scissa, rimanesse ai margini del quadro interpretativo della scissione parziale, e che fosse attribuita al fatto di avere fornito una chiave di lettura applicabile al solo caso di scissione totale che contempla l’opzione per la retrodatazione degli effetti fiscali.