26 Luglio 2017

Scissione e successiva cessione delle partecipazioni non abusiva

di Alessandro Bonuzzi
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La scissione parziale proporzionale seguita dalla cessione delle partecipazioni nella società scissa sono riqualificabili, ai fini dell’imposta di registro, come cessione d’azienda quando l’operazione nel suo complesso è riconducibile a una causa concreta unitaria. A differenza di quanto accade per le imposte dirette, la valutazione circa la bontà dell’operazione complessiva non poggia sui principi dell’abuso del diritto ma sui criteri interpretativi forniti dall’articolo 20 del D.P.R. 131/1986.

È quanto emerge dalla interessante risoluzione 97/E di ieri, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito il proprio parere sulla possibile abusività dell’operazione con riguardo all’Ires e all’imposta di registro.

Nel caso analizzato la società istante, in possesso sia di un ramo aziendale operativo che di un compendio immobiliare, ha interpellato il Fisco per conoscere l’eventuale sussistenza di abuso del diritto in un’operazione che prevede:

  • dapprima, la sua scissione parziale proporzionale a favore di una beneficiaria neocostituita (assegnataria del solo ramo immobiliare) e,
  • successivamente, la cessione delle partecipazioni della stessa società istante scissa da parte dei suoi soci (due persone fisiche non imprenditori – titolari entrambi di una partecipazione qualificata – e una società di capitali il cui capitale sociale è ripartito tra le stesse persone fisiche).

Sotto il profilo dell’imposizione diretta, l’Agenzia non rinviene l’esistenza di alcun indebito vantaggio fiscale. La cessione post scissione della totalità delle partecipazioni della società istante da parte del socio-società e dei soci-persone fisiche non imprenditori, non integra alcun indebito risparmio d’imposta. Ciò in quanto la circolazione dell’azienda effettuata attraverso la cessione diretta dell’azienda stessa è equivalente alla cessione – indiretta – delle partecipazioni detenute nella società titolare dell’azienda. I regimi fiscali propri delle due modalità alternative sono posti sullo stesso piano avendo pari dignità fiscale.

L’operazione così come prospettata determinerà:

  • in capo al socio-società, il realizzo di una plusvalenza esente ai sensi dell’articolo 87 del Tuir (ove ne ricorrano i presupposti);
  • in capo ai soci-persone fisiche, un capital gain da partecipazione qualificata ex articolo 67, comma 1, lettera c), e 68 del Tuir, che potrà essere azzerato in caso di adesione alla rivalutazione con versamento dell’imposta sostitutiva dell’8%.

Relativamente all’imposta di registro, invece, le conclusioni dell’Agenzia sono più controverse. Al riguardo non vengono formulate alcune osservazioni ai fini dell’abuso del diritto, giacché tale nozione ha natura residuale rispetto alle disposizioni contenute nell’articolo 20 del D.P.R. 131/1986 (TUR), che individua le regole e i criteri interpretativi applicabili per la corretta tassazione degli atti.

In particolare, la norma prevede che ogni atto deve essere qualificato in considerazione del suo contenuto giuridico, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalle parti. In altri termini, ai fini dell’imposta di registro, rilevano gli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti, avendo valore l’unitarietà dell’operazione economica anche se svolta mediante più pattuizioni non contestuali.

Sul punto la risoluzione richiama alcuni indirizzi della Cassazione:

  • la sentenza n. 25487/2015, secondo cui il conferimento di azienda seguito dalla cessione delle quoteha, a tal fine, carattere unitario (in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva ed all’evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell’imposta) e non costituisce operazione elusiva per cui non grava sull’Amministrazione l’onere di provare i presupposti dell’abuso del diritto, atteso che i termini giuridici della questione sono già tutti desumibili dal criterio ermeneutico di cui all’articolo 20“;
  • la sentenza n. 9582/2016, secondo cui la previsione contenuta nell’articolo 20 non è “stata predisposta al recupero di imposte eluse, questo perché l’istituto dell’abuso del diritto d’imposte in attualità disciplinato dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 10-bis, presuppone una mancanza di ‘causa economica’ che non è invece prevista per l’applicazione dell’articolo 20 del D.P.R. n. 131 citato“;
  • la sentenza n. 6758/2017, secondo cui “il conferimento societario di un’azienda e la cessione dal conferente a terzi delle quote della società conferitaria devono essere qualificati come cessione dell’azienda al cessionario delle quote se l’interprete riconosca nell’operazione complessiva – in base alle circostanze obiettive del caso concreto – una causa unitaria di cessione aziendale”. Difatti “Quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati, quando cioè la causa tipica di ciascuno è in funzione di un programma negoziale che la trascende, non può rilevare che la causa concreta dell’operazione complessiva”.

In osservanza ai principi espressi dalla Cassazione, la risoluzione afferma che gli atti di scissione e di cessione delle partecipazioni potranno essere riqualificati come un unico atto di cessione d’azienda, scontando l’imposta di registro proporzionale, se la causa concreta dell’operazione complessiva ha carattere unitario.

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