20 Maggio 2015

Se il promittente acquirente di partecipazioni è inadempiente

di Fabio Landuzzi
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La vicenda trattata della sentenza del Tribunale di Milano n.15142/2014 del 18 dicembre 2014 offre alcuni interessanti spunti di riflessione con riguardo al caso in cui, nel corso di una trattativa di vendita, la parte promittente acquirente si renda inadempiente, ossia non proceda alla conclusione dell’operazione bensì si astenga invocando il sopravvenire di condizioni negative del mercato che rendono, dal suo punto di vista, non più conveniente l’operazione.

Nel caso di specie, da quanto è dato ricavare dalla lettura del testo della sentenza, i Giudici di Milano escludono che si rientrasse nell’ambito di una “opzione di acquisto”, bensì ritengono che sussistesse fra le parti un contratto rappresentativo di un programma di collaborazione economica, impegnativo per i contraenti, i quali assumevano reciprocamente una promessa di vendita e di acquisto delle partecipazioni societarie.

In questo contesto, all’esito delle negoziazioni, quindi, il promittente acquirente avrebbe dovuto acquistare le partecipazioni nella società compravenduta entro una scadenza definita. In sostanza, la parte promittente acquirente si era obbligata all’acquisto, impegno che però era rimasto inadempiuto.

La ragione di questo comportamento pare essere dovuta al fatto che, nel corso della negoziazione, la parte promittente acquirente aveva osservato un calo del mercato e quindi aveva ritenuto non più conveniente portare avanti l’affare.

Il Tribunale di Milano coglie quindi in questa fattispecie un interesse leso, quello alla vendita delle azioni da parte del promittente venditore; e se c’è un interesse leso, ad esso deve corrispondere un risarcimento.

Ebbene, secondo i Giudici milanesi, dato che il diritto leso è quello alla vendita da parte del promittente cedente, la logica vuole che il risarcimento del danno sia determinato in una misura idonea a porre le parti nella condizione in cui esse sarebbero state se il contratto di vendita delle azioni fosse stato attuato; viene al riguardo richiamata la giurisprudenza di Cassazione, sentenza n.17688/2010.

Di conseguenza, il risarcimento del danno al promittente venditore deve essere quantificato in modo da  riconoscere al medesimo il ristoro per la diminuzione di valore delle partecipazioni non trasferite a causa dell’inadempimento del promittente acquirente; in altre parole, spetta al mancato venditore il ristorno economico della diminuzione di valore delle azioni rispetto al prezzo che egli avrebbe incassato con la vendita se il promittente acquirente fosse stato adempiente ai propri obblighi, ovvero la differenza fra il prezzo pattuito per la cessione ed il valore delle azioni al momento della domanda di risarcimento.

Sotto il profilo strettamente tecnico della quantificazione del risarcimento, la sentenza avalla la scelta del CTU di utilizzare ai fini della valutazione delle azioni il metodo dei multipli, peraltro supportato anche da altri criteri applicati dal consulente stesso. Ciò anche se il metodo, per sua stessa natura, prende in considerazione i risultati di transazioni compiute in una data successiva a quella in cui avrebbe dovuto perfezionarsi la vendita se il promittente acquirente fosse stato adempiente.

In conclusione, dal caso trattato dalla sentenza qui in commento si può trarre l’indicazione di prestare attenzione alle clausole dei contratti preliminari ed anche delle manifestazioni di interesse all’acquisto di partecipazioni, onde evitare che possa intravvedersi l’espressione di un reciproco obbligo delle parti di compravendere le partecipazioni, con conseguente esposizione a rischi risarcitori che possono essere anche assai significativi.