17 Giugno 2014

Se sia più sicuro, oggi, promettere di comprare casa. Decreto casa e crisi dell’edilizia non vanno d’accordo

di Claudio Ceradini
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Con il DL 47 del 28.3.2014, convertito con L. 80/2014, è nelle intenzioni stata potenziata la disciplina dell’acquisto di immobili da parte di soggetti privati, così come definiti all’art. 1, co.1, del D.Lgs 122/2005, a suo tempo nata con lo scopo di rendere più sicura la posizione dell’acquirente. Chi si impegni all’acquisto di un immobile da costruire solitamente effettua a favore del costruttore versamenti in acconto sul prezzo finale, ben prima di ottenere il trasferimento della proprietà. E’ la classica struttura del contratto preliminare, con cui il costruttore provvede alla copertura, per parte talvolta non trascurabile, del fabbisogno finanziario che le opere di realizzazione del manufatto presuppongono e generano, solo in parte rinvenibile presso il sistema del credito e meno ancora nelle tasche del costruttore stesso. Con la differenza che la Banca si garantisce iscrivendo ipoteca sull’immobile, il costruttore rischia del suo, mentre al promissario acquirente di fatto non restava, fino al 2005, che augurarsi che le opere terminassero, e che il costruttore adempisse ai propri obblighi. Non c’è chi non rilevi come la posizione del terzo acquirente sia la più debole, priva di garanzie e senza alcuna possibilità di monitoraggio sull’utilizzo dei fondi versati in acconto. Su questo scenario intervenne il legislatore nel 2005, a protezione proprio del soggetto più debole, il promissario acquirente dell’immobile, avendo chiaro come il classico schema contrattuale sin a quel momento utilizzato fosse molto pericoloso in tutti i casi in cui il costruttore, per problemi propri tipicamente di crisi o insolvenza, non fosse stato in grado di consegnare l’immobile promesso. Il rischio per il promissario acquirente è, o meglio era, quello di procedere in buona fede al versamento di quote di prezzo, inconsapevole della crescente probabilità di non divenire mai proprietario dell’immobile, ma solo creditore chirografario della successiva procedura concorsuale eventualmente adita, fatta eccezione per i casi, purtroppo rari, di adempimento da parte della stessa. Per questo, l’art. 2, co.1, D.Lgs 122/2005 prevede l’obbligo da parte del costruttore, pena la nullità del contratto, di rilascio a favore dell’acquirente di fideiussione bancaria od assicurativa, con le caratteristiche di cui all’art. 3 dello stesso decreto, a fronte e nella misura dell’acconto ricevuto dal promissario acquirente, affinché in caso di inadempimento, le somme versate nel frattempo possano essere rifuse. Meccanismo perfetto in teoria ma, come spesso capita, poco aderente alla realtà, poiché il rilascio della garanzia da parte del costruttore richiede o disponibilità di linee di affidamento bancarie, o la destinazione delle somme ricevute a costituire cauzione per il rilascio della garanzia. In ogni caso il risultato è compromettere la funzione fondamentale degli acconti, e cioè la copertura di quota di fabbisogno del costruttore. Era prevedibile quindi che tutti i costruttori patrimonialmente meno “strutturati” (per gli altri il problema è di minor rilievo), aggirassero il problema paventando all’acquirente interessanti quanto fantomatici risparmi in termini di prezzo, a fronte della esclusione, convenzionale o di fatto, dell’obbligo di rilascio fideiussione. Su questo punto il legislatore torna alla carica con il Decreto Casa, il cui art. 10quater, co. 1 lett. a) aggiunge il comma 1bis, all’art. 5 del D.Lgs. 122/2005. La novità è che qualsiasi pattuizione contraria all’obbligo di rilascio della fideiussione di cui agli artt. 2 e 3 è nulla, risolvendosi quindi alla radice, teoricamente, il problema ed annullandosi i margini convenzionali di trattativa.

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