Ha senso parlare di “incasso giuridico” del credito rinunciato?
di Fabio LanduzziL’Amministrazione finanziaria ha da lungo tempo sostenuto la tesi, che nella prassi viene indicata con il termine di “incasso giuridico” dei crediti rinunciati, secondo cui ogniqualvolta vi sia un componente reddituale deducibile per competenza presso il soggetto che sostiene il corrispondente costo, e specularmente lo stesso elemento reddituale sia però imponibile per il soggetto che ne è beneficiario secondo il principio di cassa, onde evitare il pericolo che si realizzino dei salti d’imposta, la rinuncia al credito operata dal titolare del relativo diritto equivale – sotto il profilo dell’imposizione sul reddito – al suo incasso; da ciò consegue quindi che, benché non monetizzato, quel componente patrimoniale – il credito – diviene fiscalmente imponibile in capo al suo titolare secondo una finzione tecnica, valevole come detto esclusivamente ai fini fiscali, che va appunto sotto il nome di “incasso giuridico” del credito.
Questa impostazione, come anticipato, ha radici lontane perché ne troviamo menzione dapprima in un documento di prassi dell’Amministrazione Finanziaria (la circolare 73/1994) che ha poi trovato anche un discreto consenso giurisprudenziale (ad es.: Cassazione, ordinanza n. 1335/2016), secondo una logica un po’ estrema per cui la rinuncia al credito sarebbe anch’essa, come l’incasso, una manifestazione di disponibilità della ricchezza tale da innescare in capo al rinunziante il presupposto impositivo.




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