Senza delibera, compenso agli amministratori indeducibile
di Gianfranco AnticoMassimo ConigliaroCon la sentenza n. 884 del 16.01.2019 la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare l’annosa questione della deducibilità del compenso agli amministratori, in assenza di delibera assembleare.
Il caso affrontato investe infatti, fra l’altro, il rilievo avente ad oggetto l’indebita deduzione del costo sostenuto per compensi agli amministratori, che il giudice di appello ha ritenuto carente del requisito di certezza e determinatezza, per non essere stato oggetto di apposita delibera assembleare, ma previsto solo in sede di approvazione del bilancio.
La Cassazione, ai fini della decisione, richiama quanto già affermato dalle SS.UU., con la sentenza n. 21933 del 29.08.2008, con riferimento ad un caso assoggettato alla previgente disciplina della riforma del diritto societario introdotta dal D.Lgs. 6/2003, secondo cui la determinazione del compenso degli amministratori di una società di capitali, qualora non sia stabilita nell’atto costitutivo, necessita una esplicita delibera assembleare, che non può ritenersi implicita in quella di approvazione del bilancio, la quale, dunque, non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’articolo 2389 cod. civ., “salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori”.
Per la Corte, alla configurabilità di una delibera di determinazione del compenso degli amministratori implicita in quella di approvazione del bilancio ostano sia la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, sia la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi.
Ulteriori motivi ostativi vengono ravvisati nella mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio e nel diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società.
Sul punto la Corte richiama ripetute pronunce, che hanno ribadito che la mancanza di una determinazione del compenso degli amministratori nelle forme suindicate non consente di considerare il costo sostenuto dalla società dotato dei requisiti di oggettiva determinabilità di cui all’articolo 109 Tuir (così, Cass. n. 8210 del 30.03.2017; Cass. n. 21953 del 28.10.2015; Cass. n. 20265 del 04.09.2013; Cass. n. 17673 del 09.07.2013).
Né secondo la Corte ciò assumerebbe rilievo ai soli fini civilistici, in quanto la quantificazione dei compensi agli amministratori non può essere compiuta unilateralmente dagli amministratori medesimi, soggetti creditori.
È pertanto “necessario il consenso manifestato dalla società mediante una formale deliberazione dell’assemblea dei soci, essendo irrilevante al riguardo il “fatto compiuto” della appostazione in bilancio degli importi fatturati, atteso il vizio di nullità insanabile del consenso sul quantum del compenso prestato con la delibera assembleare di approvazione del bilancio, non conforme alla prescrizione dell’articolo 2389 cod. civ. (cfr., in tal senso, Cass. n. 21953/15)”.
La Corte, quindi, aderisce all’orientamento delle Sezioni Unite, in quanto le deliberazioni di approvazioni del bilancio sono dirette a controllare la legittimità di un atto di competenza degli amministratori, “approvandolo” o “non approvandolo”, mentre le determinazioni dei compensi degli amministratori hanno la funzione di determinare o stabilire il compenso.
Ed, osservano le SS.UU., “poiché è certo che il bilancio in ogni caso contiene la posta relativa al compenso degli amministratori, a voler ammettere che la delibera di approvazione debba ritenersi come implicita determinazione del compenso, la norma di cui si tratta sarebbe del tutto inutile”.
Peraltro, “anche a voler ipotizzare l’ammissibilità di una ratifica tacita della (auto)determinazione del compenso da parte dell’amministratore, sarebbe necessaria la prova che, approvando il bilancio l’assemblea sia a conoscenza del vizio e abbia manifestato la volontà di far proprio l’atto posto in essere dall’organo privo di potere, non essendo invece sufficiente, in quanto circostanza non univoca, la generica delibera di approvazione”.