“Senza fondo” la discussione sul fondo patrimoniale
di Massimiliano TasiniMi pare davvero “senza fondo” la discussione “sul fondo” patrimoniale. Quasi che l’interpretazione non abbia fatto passi avanti.
Invece, a me sembra che i punti cardinali siano molto chiari, e che semmai la discussione sia orientata alla speranza di riaprire questioni interpretative oramai chiuse. Da tempo.
Forse, per coltivare l’orto delle proprie speranze.
Nel suo unico comma, l’articolo 170 cod. civ. stabilisce che “L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.
I beni oggetto del fondo patrimoniale dunque non sottostanno alla regola generale di cui all’articolo 2740 cod. civ., secondo la quale il debitore risponde del debito con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Siccome il debitore viene posto in una posizione di favore, su di lui incombe l’onere di fornire la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti fissati dalla legge perché operi la limitazione di responsabilità.
Ed i requisiti sono due, uno attinente alla conoscenza del creditore, l’altro relativo al rapporto tra il debito ed i bisogni della famiglia.
Le situazioni che possono essere configurate in concreto sono tre.
- Il creditore al momento dell’operazione è a conoscenza dell’estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia: in questo caso, sarà̀ impossibile escutere i beni facenti parte del fondo.
- Il creditore, al momento dell’operazione, è invece a conoscenza che il debito è stato contratto per soddisfare bisogni della famiglia: in questo caso, sarà invece assolutamente possibile l’aggressione sui beni del fondo.
- Il creditore al momento del compimento dell’operazione nulla sa in ordine ai bisogni soddisfatti e che hanno generato il debito. Qui manca nella legge una risposta, ma la risposta viene da sé.
Ed infatti, la Cassazione nella sentenza n. 5385/2013, nel confermare che l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’articolo 170 cod. civ. grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, ha affermato che tale soggetto dovrà provare che il debito per cui si procede venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore ne era consapevole.
Nella sentenza 15862 del 2009, richiamandosi a pregresse pronunce – Cass. 8991/03, 12998/06 – la Suprema Corte aveva poi affermato che è manifestamente erronea la tesi di coloro che volessero escludere l’esecuzione sui beni del fondo sulla base della natura legale e non contrattuale dell’obbligazione tributaria azionata in via esecutiva.
La stessa sentenza afferma che il parametro da esplorare è costituito dalla relazione esistente tra il fatto generatore dell’obbligazione e i bisogni della famiglia. Andrà in particolare accertato, in punto di fatto, se il debito de quo possa dirsi contratto o meno per soddisfare i bisogni della famiglia.
Al riguardo, secondo la sentenza n. 12998/06 della Cassazione, tale finalità non può dirsi né sussistente né esclusa per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa.
Trattandosi, come accennato, di una questione di mero fatto, il relativo accertamento è rimesso al giudice di merito (Cass. 11683/01, 12730/07).
Nell’accertare tale circostanza, il Giudice dovrà comprendere nei bisogni della famiglia anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, mentre dovrà escludere le (sole) esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (Cass. 5684/06); quanto a queste ultime, peraltro, anche operazioni meramente speculative possono essere ricondotte ai bisogni della famiglia, allorché appaia certo, in punto di fatto, che esse siano state poste in essere al solo fine di impedire un danno sicuro al nucleo familiare.
Si fa un gran discutere poi sulla eventuale anteriorità del credito rispetto alla costituzione del fondo; ma questa indagine è irrilevante, in quanto l’articolo 170 cod. civ. non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo, ma estende la sua efficacia anche ai crediti sorti anteriormente. Ovviamente, è fatta salva la possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in revocatoria ordinaria (Cass. 3251/96, 4933/05); ma questo è altro tema.
Incidentalmente, con riferimento alla possibilità che sia integrato il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, vale la pena di rimarcare che la situazione mi pare sufficientemente chiara.
Già Cassazione con la sentenze n. 38925/2009 aveva precisato che sono sequestrabili anche i beni confluiti nel fondo ante esecuzione forzata, atteso che “… ai fini dell’integrazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (…) non è necessario che sussista una procedura di riscossione in atto (…) essendo sufficiente l’idoneità dell’atto simulato o ritenuto fraudolento a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato. Appare, pertanto, evidente la natura di reato di pericolo … essendo stato anticipato il momento sanzionatorio alla commissione di qualsiasi atto che possa porre in concreto pericolo l’adempimento di un’obbligazione tributaria, indipendentemente dalla attualità della stessa … … la costituzione di un fondo patrimoniale, avente ad oggetto tutti i beni mobili ed immobili della società, era indubbiamente atto idoneo a limitare le ragioni del fisco, come già statuito da questa corte con la sentenza n. 5824 del 2008, tanto più che non sono state indicate le ragioni della costituzione del fondo patrimoniale”.
Dunque, la motivazione è sicuramente un elemento che potrebbe contribuire a determinare il venir meno della fattispecie criminosa.