Senza Iva i “diritti di negoziazione” erogati dalle consessionarie di pubblicità
di Marco Peirolo
I “diritti di negoziazione” riconosciuti dalla casa madre ai centri media sono esclusi da IVA in assenza di una specifica prestazione, ulteriore cioè rispetto all’attività di intermediazione remunerata con la provvigione che le società inserzioniste pagano ai centri media per gli investimenti pubblicitari effettuati.
Si tratta della conclusione raggiunta dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma con la sentenza n. 210 del 30 dicembre 2013.
La contestazione è sorta con il recupero a tassazione dell’IVA detratta dalla concessionaria di pubblicità per gli importi corrisposti ai centri media a titolo di “diritti di negoziazione”, anche denominati “premi impegnativa” o “diritti di intermediazione”.
In primo grado, l’Ufficio è risultato soccombente, in quanto i giudici hanno ritenuto che le somme erogate dalla concessionaria costituivano la controprestazione di un’obbligazione di risultato che, benché non prevista contrattualmente, vincolava i centri media a raggiungere determinati risultati, qualitativi e quantitativi, riguardanti la pubblicità raccolta.
Nel ricorso in appello, l’Amministrazione finanziaria ha eccepito che i premi in esame riguardavano un’attività già svolta e non da svolgere, per cui non rappresentavano il corrispettivo di una prestazione di servizi, ex art. 3 del D.P.R. n. 633/1972. La società concessionaria, in sede di costituzione in giudizio, ha ribadito che l’erogazione dei “diritti di negoziazione” rientrava in una prassi commerciale largamente diffusa, essendo diretti a remunerare il maggior impegno svolto dai centri media sia in termini di attività da gestire, sia di investimenti da effettuare per ampliare gli obiettivi di vendita di spazi pubblicitari e il numero di inserzionisti.
I giudici d’appello, per risolvere la controversia, richiamano la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 120 del 17 settembre 2004.
L’art. 2, comma 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che le “cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro” non costituiscono cessioni di beni da assoggettare ad IVA. Al riguardo, come già indicato dalla R.M. 23 settembre 1974, n. 502713, tale norma prevede l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA delle cessioni aventi per oggetto il denaro elargito esclusivamente a titolo gratuito, non costituente cioè specifico o generico corrispettivo di cessioni di beni o prestazioni, ancorché indirette, di servizi.
Nella differente ipotesi in cui, al contrario, l’erogazione di denaro avvenga non a titolo di oblazione spontanea, bensì sulla base di una preventiva pattuizione ed in funzione del raggiungimento di un determinato obiettivo di vendite, si è in presenza di una prestazione di servizi rilevante ai fini IVA, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972. In questa ipotesi, in linea generale, i premi possono essere suddivisi in due categorie, a seconda che gli stessi siano previsti:
- nell’ambito dell’attività normalmente svolta dal beneficiario, al fine di stimolare la conclusione di un maggior numero di contratti di compravendita (bonus di tipo “quantitativo”);
- al di fuori dell’attività tipicamente svolta dal beneficiario, a fronte dello svolgimento di altre attività, quali attività promozionali, di marketing e di customer care (bonus di tipo “qualitativo”).
Secondo la Commissione Tributaria Regionale, “la scriminante per considerare tali erogazioni di denaro in una categoria piuttosto che in un’altra, e quindi dentro o fuori dal campo di applicazione dell’IVA, dipende dagli accordi contrattuali sottostanti che devono trovare adeguata documentazione sia sostanziale che contabile”.
Nel caso di specie, “come giustamente opposto dall’Ufficio, dalla documentazione presentata non emerge alcun impegno specifico, quale può essere il raggiungimento di un determinato fatturato connesso all’effettivo sostenimento di una determinata obbligazione di fare, ma al contrario si afferma che l’attività di intermediazione svolta dai centri media viene remunerata dalla provvigione pagata dalle società inserzioniste sull’investimento pubblicitario dalle stesse effettuato e che tale compenso soddisfa ed estingue qualsiasi altra pretesa tra le parti”. In proposito, la stessa società concessionaria ha ammesso che le somme ricevute venivano riconosciute sulla base di una prassi commerciale diffusa, in assenza di una specifica clausola contrattuale scritta ed è stato riscontrato che le relative fatture sono estremamente generiche e non descrivono le prestazioni a fronte delle quali sono state emesse.
Per queste ragioni, la sentenza conclude negando che i “diritti di negoziazione” possano ricondursi ai bonus, quantitativi e qualitativi, con la conseguenza che “il recupero dell’imposta effettuato va confermato”.