Senza tassazione l’uscita dalla società semplice agricola
di Alberto RocchiLuigi ScappiniCon due risposte a interpello dal contenuto analogo (n. 689 e n. 691 dell’ottobre 2021) l’Agenzia delle entrate chiarisce la tassazione da applicare alle somme percepite dai soci in caso di recesso, esclusione, riduzione del capitale o in dipendenza di liquidazione della società semplice.
La questione è di importanza fondamentale in quanto, nel sistema del Tuir, manca un riferimento normativo chiaro che regoli questa materia.
Come noto, infatti, la disciplina fiscale della società semplice è modellata su quella delle altre società di persone con un’importante peculiarità: la società semplice determina il proprio reddito imponibile per sommatoria delle singole categorie di reddito individuate nell’articolo 6 Tuir.
Ciò significa che i redditi che essa deve sottoporre a tassazione sono qualificati in ragione della loro fonte di produzione: una volta sommati gli imponibili provenienti dalle varie fonti si calcola l’imposta previa sottrazione degli oneri deducibili.
Restano ovviamente esclusi i redditi assoggettati a ritenuta alla fonte o esenti.
Il reddito complessivo viene quindi imputato direttamente in capo a ciascun socio in proporzione alla quota di partecipazione agli utili e indipendentemente dall’effettiva percezione, in ossequio al generale principio di trasparenza di cui all’articolo 5 Tuir.
Quindi, durante la vita della società, il socio non subisce imposizione al momento della materiale distribuzione degli utili in quanto:
- o li ha già tassati quando li ha ricevuti per trasparenza;
- o la società ha già subito una tassazione definitiva (caso dei redditi esenti o soggetti a ritenuta d’imposta).
Ma cosa succede in caso di scioglimento della società? O nel caso, del tutto assimilabile, di scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio?
La dottrina in passato si è a lungo interrogata su come applicare l’articolo 20-bis Tuir alle società semplici. La norma, destinata in prima battuta alle Snc e Sas, prevede che nel tassare i redditi conseguiti al momento dell’exit dalla società, si debbano applicare, in quanto compatibili, le norme previste per le società di capitali ovvero l’articolo 47, comma 7, Tuir.
Questa norma stabilisce che “le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate”.
Una parte della dottrina era incorsa nell’equivoco di considerare applicabile questa norma anche alle società semplici in quanto, in forza del rinvio contenuto nel citato articolo 20-bis Tuir, era stata ritenuta destinata a tutto il mondo delle società personali.
In realtà andava evidenziato che il combinato disposto dell’articolo 20-bis e dell’articolo 47, comma 7, Tuir, va a regolare le modalità di determinazione delle somme da assoggettare a tassazione, non a costruire un’autonoma e distinta categoria reddituale.
Inoltre l’articolo 20-bis Tuir contiene l’inciso “in quanto compatibili” che lascia un ampio margine di autonomia per considerare situazioni particolari, quali quella della società semplice.
E, infatti, già con la DRE Lombardia 904-91/2013, confermata dalla DRE Piemonte 901-526/2017, fu ribadito il principio enunciato nella circolare 6/E/2006 secondo cui i redditi di partecipazione non costituiscono un’autonoma categoria reddituale ma assumono la natura della categoria reddituale da cui traggono origine. In questo modo, venne esclusa la tassabilità in capo ai soci assegnatari di beni immobili di redditi diversi, qualora non sussistessero i requisiti di cui all’articolo 67, comma 1, lettera b, Tuir.
Nella risposta a interpello 689/E del 10 ottobre scorso viene confermato lo stesso principio anche se con riferimento al caso in cui la società semplice, una volta venduto un bene non plusvalente, distribuisca il ricavato ai soci in fase di estinzione della compagine.
Si tratta in definitiva di una conferma importante per le società semplici agricole che possono quindi acquistare i terreni senza temere di dover subire una tassazione al momento dello scioglimento.
In questo modo, la risposta dell’Agenzia delle entrate, ponendo fine a una serie di dubbi, potrebbe anche costituire un incentivo a vincere la tradizionale ritrosia del mondo agricolo a trasferire la titolarità dei terreni in capo alle società semplici, evitando degli affitti “simulati” dai soci molto spesso a fronte di corrispettivi irrisori.
C’è tuttavia da ricordare che, affinché possano applicarsi questi principi, le società semplici agricole non devono svolgere alcun tipo di attività commerciale.
Si ritiene in proposito che le medesime conclusioni possano valere nel caso di attività extra articolo 32 Tuir (e quindi non tassabili a reddito agrario) che però rientrino in uno dei regimi forfettari di determinazione del reddito (ad esempio, articolo 56, comma 5, Tuir per le attività di allevamento).
Si torna invece ai criteri ordinari in presenza di redditi di impresa analitici come nel caso della società semplice con agriturismo gestito in ordinario.